Studio Legale Associato Carugno & Cimarelli
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Giustizia. Altre novita' in discussione alla camera.

29/7/2014

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L'assemblea della Camera ha avviato l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 90/2014 (A.C. 2486-A) misure per l'efficienza della p.a. e degli uffici giudiziari, che introduce disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa nonché all'efficienza degli uffici giudiziari (c.d. decreto p.a.). Nel corso dell'esame in sede referente sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto.

Interventi in materia di giustizia

Tra le disposizioni di maggior impatto vi è la soppressione (articolo 18), con decorrenza 1° ottobre 2014, di tutte le sezioni staccate dei tribunali amministrativi regionali, ad eccezione di quella di Bolzano. Nel corso dell’esame in sede referente tale previsione è stata stemperata, prevedendo che il Governo debba, entro la fine di quest’anno, predisporre un piano di riorganizzazione della giustizia amministrativa e che comunque, a decorrere dal 1° luglio 2015, siano soppresse le sole sezioni staccate di Parma, Pescara e Latina (ovvero tutte le sezioni staccate di TAR che non si trovano in comuni sede di Corte d’appello).

Numerosi articoli del decreto-legge sono volti a dare completa attuazione alprocesso telematico che, almeno nel settore civile, è divenuto pienamente operativo a partire dal 30 giugno 2014. In particolare, il decreto:

quanto al processo amministrativo, stabilisce un termine certo (sessanta giorni) per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono stabilite le regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l’aggiornamento del processo amministrativo telematico e dispone che dal 1° gennaio 2015 tutti gli atti del processo dovranno essere sottoscritti con firma digitale (articolo 38); prevede che si applichino anche nel processo amministrativo le disposizioni relative alle comunicazioni e notificazioni per via telematica, a cura della cancelleria, quando relative ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o alle pubbliche amministrazioni (articolo 42); queste ultime hanno tempo fino al 30 novembre comunicare al Ministero della giustizia il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al fine di poter ricevere le comunicazioni e notificazioni per via telematica (articolo 47);quanto al processo contabile, consente l’utilizzo di modalità telematiche anche nei giudizi contabili dinanzi alla Corte dei Conti (articolo 43);quanto al processo tributario, consente l’utilizzo della posta elettronica certificata (PEC) anche alla parte processuale che non si avvale di un avvocato (articolo 49);quanto al processo civile, precisa che l’obbligo del deposito telematico previsto a decorrere dal 30 giugno 2014 interessa esclusivamente i procedimenti iniziati davanti al tribunale ordinario dal 30 giugno 2014; per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, l’obbligo del deposito telematico decorre dal 31 dicembre 2014. Il decreto-legge fissa al 30 giugno 2015 la data alla quale scatterà l'obbligo del deposito telematico degli atti processuali per i procedimenti civili davanti alla corte d’appello (articolo 44). Ulteriori disposizioni, relative alla comunicazione della sentenza e alle comunicazioni telematiche sono dettate dal decreto-legge a seguito dell’esame in sede referente (cfr. articolo 45-bis) e in particolare, nel processo esecutivo, il decreto-legge interviene in tema di espropriazione mobiliare presso il debitore (articolo 48) prevedendo che le vendite di cose mobili pignorate, disposte a decorrere da un mese dall’entrata in vigore della legge di conversione, debbano essere interamente effettuate con modalità telematiche con alcune eccezioni.

Anche la disciplina delle notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati contenuta nella legge n. 53 del 1994 viene modificata, per incentivare il ricorso alle procedure telematiche (articolo 46) anche da parte dei professionisti. Parallelamente, vengono rivisti gli orari di apertura al pubblico delle cancellerie dei tribunali, per consentire una verifica sugli atti che giungono agli uffici per via telematica (articolo 51).

Alcune disposizioni riguardano lo status dei magistrati. In particolare:

è disciplinata la procedura per l’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi ai magistrati dal parte del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), con misure dirette a favorire la conclusione dell’iter (articolo 2);è resa maggiormente stringente la disciplina sul collocamento “fuori ruolo” dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede l’obbligatorio collocamento in “fuori ruolo” quando questi soggetti intendano assumere qualsiasi ufficio di diretta collaborazione (articolo 8);è disposta la pubblicazione sui siti istituzionali dei dati sulla produttività di magistrati e avvocati dello Stato (articolo 8).

Attengono invece al recupero di efficienza del processo le disposizioni che, nelprocesso amministrativo, sono volte a contrastare l’abuso del processo (articolo 41) e nel processo civile introducono l’ufficio del processo presso i tribunali ordinari (e relative Procure della Repubblica) e presso le Corti d’appello (articolo 50). In merito è significativamente intervenuta la Commissione referente che ha previsto a favore dei laureati ammessi a svolgere tirocini formativi presso gli uffici giudiziari una borsa di studio fino ad un massimo di 400 euro mensili (articolo 50-bis).

Da ultimo si segnala che la copertura finanziaria per le minori entrate per l’Erario, conseguenti all’attuazione delle disposizioni volte a garantire l’effettività del processo telematico, sono individuate attraverso l'aumento generalizzato di circa il 15% di tutti gli importi del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo nel processo civile (articolo 53).
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Giustizia. Avvocati in affitto. Orlando firma il bando di reclutamento.

24/7/2014

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Giustizia: assunzione di 400 giudici ausiliari. Orlando firma decreto per bando

21 luglio 2014

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato oggi un decreto per la selezione di 400 giudici ausiliari presso le Corti di appello, un significativo aumento di organico per rafforzare l’efficienza delle Corti anche nello smaltimento dell’arretrato.

Possono partecipare alla selezione i magistrati ordinari, contabili ed amministrativi e gli avvocati dello Stato, a riposo da non più di tre anni, nonché i magistrati onorari che non esercitino più, ma che abbiano esercitato con valutazione positiva la loro funzione per almeno cinque anni; i professori universitari in materie giuridiche di prima e seconda fascia, anche a tempo definito o a riposo da non più di tre anni; i ricercatori universitari in materie giuridiche; gli avvocati, anche se cancellati dall’albo da non più di tre anni; i notai, anche se a riposo da non più di tre anni.

I posti nel bando riguardano 26 Corti d’Appello: Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Torino, Trento, Trieste e Venezia.

La domanda di partecipazione, disponibile dal giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, potrà essere compilata ed inviata in via telematica direttamente dal sito del Consiglio Superiore della Magistratura (www.csm.it).

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Riforma del Codice della Strada. Entrera' l'omicidio stradale.

21/7/2014

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Il Vice Ministro ai Trasporti Sen.Riccardo Nencini ha la delega per la riforma del Codice della Strada.
Alla Camera e' in discussione la legge delega con la quale il Governo potra' emettere il Decreto Leg.vo di riforma.
Nencini propone la introduzione del reato di Omicidio Stradale e Ergastolo della patente.

 Più prudenza alla guida. E' l'obiettivo del nuovo Codice della strada in discussione in commissione Trasporti alla Camera. Tra le novità principali, il disegno di legge apre le porte al reato di "omicidio stradale". Oltre alle conseguenze di tipo penale, la violazione delle regole potrà causare il ritiro per sempre della patente. La Commissione Trasporti della Camera ha dato il suo ok alla legge delega per la riforma. L'introduzione del nuovo reato nel codice penale sarà possibile proprio grazie ad un emendamento approvato oggi in Commissione.

"E' una giornata importante, la aspettavo da tempo. Per la prima volta un passo in avanti per sancire la presenza del reato di omicidio stradale nel codice", commenta il vice ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini, che parla di "ergastolo della patente". Una fattispecie attesa, quella dell'omicidio stradale, cara anche al premier Matteo Renzi. Sono 114 i morti nel solo 2013 caduti sulle strade per la guida spericolata dei cosiddetti 'pirati' della strada.

In realtà quello di oggi è appunto solo "un passo in avanti", come rilevato dal sottosegretario, perché le modifiche dovranno poi essere apportate al Codice penale. "Nel caso in cui il conducente cagioni la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale" anche "in coerenza con eventuali modifiche del codice penale che introducano il reato di 'omicidio stradale'" - precisa l'emendamento approvato dalla Commissione di Montecitorio - sarà possibile comminare "le sanzioni amministrative accessorie della revoca della patente e della inibizione alla guida sul territorio nazionale a tempo indeterminato". Un sorta di 'daspo' a vita per il guidatore.

Segue il testo dell'emendamento approvato.

" All'articolo 2, comma 1, lettera i), dopo il numero 2) inserire il seguente: 
    2-bis) nel caso in cui il conducente cagioni la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, la definizione, anche in coerenza con eventuali modifiche del codice penale che introducano il reato di «omicidio stradale», delle condizioni del conducente stesso ovvero delle tipologie di violazioni in presenza delle quali saranno previste le sanzioni amministrative accessorie della revoca della patente e dell'inibizione alla guida sul territorio nazionale a tempo indeterminato.»
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Pos per i professionisti. Il Governo insiste ma pensa di intervenire per ridurre i costi.

17/7/2014

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L'obbligo di Pos per esercenti e professionisti, scattato lo scorso 1 luglio per importi superiore ai 30 euro, approda come previsto sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico per un primo incontro a cui hanno preso parte anche Tesoro, Bankitalia, Abi e Consorzio Bancomat.
L'incontro per ora è stato stato interlocutorio e ne seguiranno altri ma prima dell'avvio del tavolo le rappresentanze delle varie categorie bocciano la misura definendola una «stangata» capace di mangiare oltre il 3% dei ricavi.
Il Governo non arretra sull'obbligo di Pos ma apre alla possibilità di intervenire sui costi legati all'attivazione dei pagamenti elettronici.
Oggi il primo incontro tra tecnici al tavolo dello Sviluppo economico è stato interlocutorio (ce ne sarà un altro il 22 luglio) ed è servito soprattutto per avere informazioni statistiche relative all'utilizzo dei Pos, in particolare a partire dal primo luglio, quando è scattato l'obbligo.
Il Governo dovrebbe puntare a spingere le banche a una riduzione delle commissioni a fronte di un prevedibile aumento delle stesse grazie all'obbligo della moneta elettronica: «Nelle prossime settimane - annuncia infatti il ministero - il tavolo proseguirà i suoi lavori incontrando le organizzazioni di categoria dei commercianti, degli artigiani e dei professionisti, in modo da condividere un percorso comune che possa da un lato colmare il forte ritardo, rispetto agli altri Paesi europei, che l'Italia registra nell'uso della moneta elettronica."
L'obbligo del Pos, alle condizioni attuali, preoccupa.
Ma va ripensata nelle modalità di applicazione, costi in testa.
Da qui la richiesta di ricorrere a una spending review della moneta elettronica perché i costi, sia fissi (installazione, canone, componente fissa cosiddetta flat fee) che variabili (legati al volume complessivo degli incassi tramite Pos), derivanti dall'uso di strumenti per l'utilizzo della moneta elettronica «non possono ricadere esclusivamente sugli esercenti, come attualmente avviene». In sintesi si propone l'introduzione dei tetti massimi alle commissioni interbancarie e la detraibilità fiscale di tutti gli oneri legati all'installazione e alla gestione del Pos.
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Coppie di fatto. Cassazione riconosce il diritto della convivente al risarcimento del danno per l'assassinio del compagno.

11/7/2014

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Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della c.d. famiglia naturale, a condizione che si dimostri l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al rapporto coniugale.
Con la sentenza 16 giugno 2014, n. 13654 la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione conferma la legittimazione della convivente more uxorio ad agire per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'uccisione del proprio partner. Si tratta, difatti, di una legittimazione «ormai pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità»; in particolare le più recenti sentenze della Suprema Corte hanno riconosciuto che il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della c.d. famiglia naturale, a condizione che si dimostri l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al rapporto coniugale.
In merito, poi, agli elementi probatori necessari per accertare l’effettiva sussistenza dei requisiti di una stabile convivenza, la Corte ritiene che la prova presuntiva è frutto di una valutazione complessiva delle prove da parte del giudice di merito.
Ecco il testo integrale della sentenza.


Sentenza 2 aprile – 16 giugno 2014, n. 13654

(Presidente Carleo – Relatore Cirillo)

Svolgimento del processo

l. P.F., in proprio e nella qualità di rappresentante del proprio figlio minore R.C., citò a giudizio, davanti al Tribunale di Milano, P.R., G.A., I.S., O.C. e B.C. e, sul presupposto di essere stata convivente del noto stilista M.G., chiese che tutti i convenuti, condannati in sede penale per il delitto di omicidio premeditato del medesimo, fossero condannati in suo favore al risarcimento dei danni conseguenti.

Si costituì in giudizio la sola R., chiedendo il rigetto della domanda, mentre gli altri convenuti rimasero contumaci.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò tutti i convenuti, in solido, al pagamento in favore dell'attrice della somma di euro 692.758,30 in moneta attuale, di cui euro 200.000 per danni non patrimoniali ed euro 492.758,30 per danni patrimoniali, oltre interessi e con il carico delle spese; respinse l'analoga domanda risarcitoria proposta dalla F. nella qualità di legale rappresentante del figlio.

2. Proposto appello da S.B., nella qualità di tutrice e legale rappresentante della R., la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 17 marzo 2008, ha rigettato l'appello, ha confermato la pronuncia di primo grado ed ha posto a carico dell'appellante le ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che la sentenza di primo grado meritava conferma sia in ordine al riconoscimento, in astratto, del diritto del convivente more uxorio al risarcimento dei danni conseguenti all'uccisione del partner sia in ordine alla dimostrazione, da parte della F., che il suo regime di convivenza con M.G. fosse in tutto rispondente ai requisiti individuati dalla giurisprudenza come indicatori di una convivenza di tipo paraconiugale.

Allo stesso modo, la sentenza meritava conferma in ordine alla sussistenza della piena capacità di intendere e di volere della R. nel momento dell'omicidio, e ciò sulla base della copiosa consulenza tecnica espletata in sede di processo penale; nonché sotto il profilo dell'entità del danno risarcibile, dovendosi riconoscere alla F. il diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale che non patrimoniale.

3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Milano propone ricorso S.B., nella qualità di tutrice e legale rappresentante della R., con atto affidato a due motivi.

P.F. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

l. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per avere erroneamente la Corte territoriale qualificato il rapporto tra il G. e la F. come convivenza more uxorio, con conseguente diritto al risarcimento del danno in favore della F.; nonché per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e per omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo il giudice d'appello pronunciato sulla richiesta di prova contraria al fatto che si intendeva dimostrare.

La ricorrente premette di non avere intenzione di confutare le considerazioni di carattere generale con le quali la Corte milanese ha riconosciuto l'astratta legittimazione della convivente more uxorio ad agire per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'uccisione del proprio partner; tale questione deve intendersi come rinunciata, atteso l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza in ordine al riconoscimento di tale diritto.

Lamenta la ricorrente, invece, l'errato utilizzo della prova presuntiva, essendo la Corte d'appello in tal modo pervenuta ad un risultato ritenuto aberrante, poiché le prove raccolte non sarebbero dotate del requisito della gravità, precisione e concordanza che la legge richiede. Si rileva, inoltre, che la Corte di merito non avrebbe fornito alcuna risposta in ordine alle richieste istruttorie presentate con l'atto di appello.

1.1. Nell'esame di questo motivo occorre prendere le mosse da una prima constatazione generale, e cioè che la stessa ricorrente ha espressamente rinunciato, come si è detto, alla contestazione di quella parte della motivazione della sentenza nella quale la Corte d'appello ha dichiarato di riconoscere, in astratto, la legittimazione dei conviventi more uxorio al risarcimento dei danni conseguenti all'uccisione del partner. Si tratta, come la stessa ricorrente riconosce, di una legittimazione «ormai pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità»; infatti, oltre alle pronunce richiamate dalla Corte milanese, sono da citare le più recenti sentenze di questa Corte con le quali si è riconosciuto che il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della c.d. famiglia naturale, a condizione che si dimostri l'esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo che, per la significativa comunanza di vita e di affetti, sia equiparabile al rapporto coniugale (così, più di recente, le sentenze 16 settembre 2008, n. 23725, 7 giugno 2011, n. 12278, e 21 marzo 2013, n. 7128).

Poiché questa Corte, quindi, non è chiamata ad affrontare il problema della legittimazione astratta della F., ciò comporta l'evidente inammissibilità della prima parte del quesito di diritto formulato alle pp. 30-31 del ricorso a sostegno del motivo ora in esame (dica la Corte cosa si debba intendere per famiglia di fatto e quali caratteri tale formazione sociale debba presentare per poter considerare il convivente more uxorio meritevole di tutela giuridica verso i terzi autori di reati a danno dell'altro convivente). L'accertamento che ivi si sollecita, infatti, per la parte in cui non implica profili di carattere sociologico estranei all'argomentare giuridico, è stato già compiuto più volte da questa Corte, la quale è pervenuta alle menzionate conclusioni, che sono qui da richiamare integralmente.

1.2. Il problema che si pone, quindi, è quello di decidere se, nella specie, vi fosse la prova della sussistenza dei requisiti di una stabile convivenza; sicché lo scrutinio del motivo in esame si risolve nello stabilire (seconda parte del quesito di diritto) se ci sia stato o meno, da parte della Corte territoriale, un uso corretto della prova presuntiva, in relazione alla ricostruzione della qualità del rapporto esistente tra P.F. ed il defunto stilista M.G..

A questo proposito, questa Corte ha affermato che la prova presuntiva è frutto di una valutazione complessiva delle prove da parte del giudice di merito, il quale è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (sentenze 13 ottobre 2005, n. 19894, e 6 giugno 2012, n. 9108). La prova presuntiva esige, per la sua stessa natura, una valutazione globale dei fatti noti emersi nel corso dell'istruzione (sentenza 9 marzo 2012, n. 3703); valutazione che, se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici, è incensurabile in sede di legittimità (sentenza 5 dicembre 2011, n. 26022).

1.3. Alla luce di tali premesse, è evidente che il motivo di ricorso in esame è privo di fondamento.

La Corte d'appello di Milano, con una pronuncia assai bene argomentata e supportata da logica impeccabile, ha ricostruito - richiamando, ove del caso, la sentenza di primo grado - la natura e l'intensità del rapporto intercorso tra la F. ed il G. ed è pervenuta alla conclusione di ritenere dimostrati i requisiti necessari per riconoscere l'esistenza di un rapporto more uxorio tra i due ed il conseguente diritto al risarcimento in capo alla convivente. Ha richiamato, al riguardo, il fatto che la convivenza fosse «frutto di una comune scelta di vita»; che i conviventi, pur essendo andati a vivere insieme solo pochi mesi prima dell'omicidio dello stilista, avevano da molto tempo prima un rapporto serio e stabile, non limitato alle sole «frequenti occasioni mondane», tanto che «avevano coinvolto nel loro progetto anche i rispettivi figli, nati dai loro precedenti matrimoni». La sentenza in esame, poi, ha avuto cura di precisare come i caratteri di detta convivenza non potessero essere indeboliti dal fatto che il G. «avesse dichiarato e dimostrato nei fatti di non volere ingerenze della F. nella gestione del proprio patrimonio ed in genere dei propri rapporti economici», essendo ben comprensibile che questi - titolare di un patrimonio di notevolissime dimensioni - desiderasse tutelare le figlie avute proprio dal matrimonio con la R.. E la sentenza ha pure dimostrato di aver valutato la presunta infedeltà della F. - desumibile, a quanto pare, da una telefonata intercettata tra la suddetta ed un altro uomo - non ritenendo simile dato idoneo a modificare in modo significativo il quadro probatorio.

Si tratta, com'è evidente, di una valutazione di merito corretta e completa, fondata anche su elementi presuntivi valutati nella loro globalità; né, d'altra parte, può acquisire importanza il fatto che la materiale convivenza sia durata pochi mesi, poiché è pacifico che essa si interruppe per l'uccisione del G., sicché non può trarsi alcuna conclusione favorevole alla ricorrente da un elemento del genere.

In conclusione, quindi, il primo motivo di ricorso non è fondato, perché si risolve nella sollecitazione di questa Corte a compiere un nuovo e non consentito esame del merito della vicenda; il che risulta, in modo ancora più evidente, anche dalle richieste istruttorie di cui alle pp. 28-30 del ricorso, sulle quali la Corte d'appello avrebbe immotivatamente disatteso la richiesta.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2056, 1226 e 2059 cod. civ., oltre ad omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Osserva la ricorrente che in ordine al danno non patrimoniale sarebbe «mancata qualsiasi prova, in concreto, del turbamento psichico e dei patimenti asseritamente subiti» dalla F.; quanto al danno da perdita di chances, la sentenza sarebbe errata per aver ricondotto l'insorgenza del diritto ad una convivenza durata appena quattro mesi; e che, quanto al danno patrimoniale, aver ancorato l'entità del risarcimento all'importo mensile dei costi dell'appartamento della coppia, proiettato nel futuro sulla base dell'età del defunto, sarebbe frutto di una previsione del tutto arbitraria, mancando la prova che il rapporto tra i due si sarebbe realmente protratto nel tempo.

2.1. Il motivo non è fondato.

La Corte osserva, innanzitutto, che il quesito di diritto

formulato alle pp. 39-40 del ricorso, col quale si conclude il motivo in esame, contiene una prima parte che è inammissibile. Si chiede alla Corte, infatti, se sia onere della parte asseritamente danneggiata, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., fornire dimostrazione non soltanto dei presupposti fondanti la richiesta risarcitoria, ma anche degli specifici danni in concreto patiti, con la conseguenza che, in assenza di tale dimostrazione, al giudice non è consentito procedere alla richiesta liquidazione. È palese che il quesito si risolve nella proposizione di una domanda la cui risposta è affermativa, ma del tutto priva di utilità ai fini della decisione; il punto non è, infatti, stabilire quale sia il riparto dell'onere della prova, bensì verificare se la sentenza abbia correttamente proceduto nella liquidazione del danno in favore della F.. Questo aspetto è contenuto nella seconda parte del quesito, che va esaminata nel merito.

Al riguardo, tuttavia, va fatta una prima considerazione, e cioè che le censure proposte sono, almeno in parte, ripetitive di quelle del primo motivo, perché la parte ricorrente torna ad affermare che nel caso in esame non sarebbe stata raggiunta la prova della convivenza tra la F. e il G.. Tali aspetti sono stati già scrutinati; sicché resta il solo profilo quantitativo.

La Corte d'appello, però, anche su questo punto ha fornito una motivazione ampia, convincente e priva di vizi logici. Essa ha evidenziato, da un lato, la sussistenza del danno non patrimoniale, desumibile anche tramite presunzioni, affermandone la risarcibilità in considerazione del forte legame affettivo esistente tra la vittima e la F.; quanto, poi, al danno patrimoniale, la pronuncia ha dato conto che la relativa prova era stata offerta anche sotto il profilo dell'entità delle erogazioni di denaro (definite «ingenti, ma comunque rispondenti all'elevatissimo tenore di vita sociale proprio di una persona ricchissima, quale era il G.»); precisando, quanto alla liquidazione del danno, che si trattava di un danno potenziale, fondato sulla ragionevole aspettativa della prosecuzione del rapporto paraconiugale. Il rischio insito in simile calcolo è stato tenuto in opportuna considerazione dalla Corte d'appello, la quale - facendo proprio il conteggio del Tribunale - dopo aver determinato l'entità del risarcimento, ha ridotto di un terzo la somma concretamente liquidata, proprio per le ragioni ora evidenziate.

A fronte di simile valutazione, si rivelano infondate sia le censure di violazione di legge perché la sentenza ha rispettato le regole in tema di onere della prova e di criteri di liquidazione del danno - sia quelle di vizio di motivazione; è piuttosto il motivo di ricorso ora in esame, come già si è detto a proposito del primo, a tendere verso la sollecitazione di questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.

3. In conclusione, il ricorso è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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A VOLTE RITORNANO. COME I FILM HORROR.

9/7/2014

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Paola Severino il peggior Ministro della Giustizia; quella della soppressione dei Tribunali Minori; quella della legge sulla incandidabilità; quella sulle nuove tariffe forensi; quella quindi legata alle leggi peggio scritte e fatte, in materia di giustizia, ritorna.
Torna come Presidente dell'Osservatorio per il monitoraggio degli effetti delle riforme sulla giustizia.

I compiti dell'Osservatorio sono quelli riportati appresso.
 

-analisi del funzionamento del sistema della giustizia civile e penale, anche mediante l’analisi dei quadri informativiopportunamentedefinitidalla Direzione Generale per le Statisticheedalla Direzione Generale perl’Informatica e i Sistemi Automatizzati del Ministero,al fine di dar conto degli andamenti dei principali indicatori di funzionalità dell’amministrazione della giustizia;
-esame(da effettuare anche sulla base di indagini statistiche e con l’utilizzo delle tecniche statistico-econometriche di “valutazione delle politiche” applicate al sistema giudiziario) degli effetti sull’economia e la società delle riforme realizzate, rispetto agli obiettivi annunciati e con riferimento alle principali variabili di funzionalità del sistema:
-esamedell’impatto delle riforme sui principali indicatori internazionali (Word Economic Forum, Doing Busines, Cepej);-analisi delpotenziale effetto di eventuali misure di assestamento delle riforme in corso di realizzazione,c qui per effettuare modifiche.

Possiamo aspettarci effetti devastanti.

Qui sotto il ink per scaricare il decreto di nomina in pdf.


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Nuovo processo civile. Cosa cambia descritto nella scheda riassuntiva del Governo.

8/7/2014

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1 - Giustizia civile: riduzione dei tempi


a) Conciliazione con l’assistenza degli avvocati (negoziazione assistita)

Si tratta di una procedura gestita dagli avvocati delle parti per il raggiungimento di un accordo prima che la lite venga portata davanti al giudice;

l’accordo costituisce un titolo esecutivo in forza del quale è possibile aggredire i beni del debitore che rifiuti di pagare.

Tale modello di procedura consentirà di ridurre il flusso delle cause in entrata dei tribunali e dei giudici di pace di circa 60.000 cause per anno.

b) Separazioni e divorzi consensuali innanzi all’Ufficiale dello stato civile

Si prevede che:

i coniugi che siano d’accordo sulle condizioni di separazione o di divorzio, possano separarsi o divorziare davanti all’ufficiale dello stato civile (allo stesso modo di quanto avviene per la costituzione del vincolo di matrimonio), a condizione che non abbiano figli minori nè figli maggiorenni portatori di handicap grave, né figli maggiorenni economicamente non autosufficienti.

Questa misura consentirà di ridurre il flusso dei procedimenti in entrata dei tribunali di circa 80.000 procedimenti per anno.

c) Chi soccombe nel giudizio rimborsa le spese del processo

verrà introdotta la regola generale per cui “chi perde paga”. Vanno, infatti, limitati in modo più efficace i casi di compensazione.

Questa misura contribuirà a ridurre le liti con finalità meramente strumentali e dilatorie.

d) L’avvocato può sentire i testimoni fuori dal processo 

l’avvocato potrà raccogliere fuori dal processo le dichiarazione delle persone informate dei fatti della causa e depositare al giudice il documento contenente tali dichiarazioniil giudice potrà, ove siano necessari chiarimenti e precisazioni essenziali alla decisione, disporre la convocazione delle persone sentite dall’avvocato.

Anche questa misura consentirà di ridurre i tempi medi di durata del processo.

e) Il giudice può sentire i testimoni a distanza per mezzo di videoconferenza 

Questa misura consentirà ai testimoni di non recarsi fisicamente negli uffici giudiziari e ridurrà i tempi del processo, permettendo che i testimoni possano essere esaminati anche in giorni lavorativi o quando sono impediti.

f) Si introducono forme processuali semplificate per le controversie di agevole definizione (le cause semplici richiedono un processo semplice), consentendo al giudice di adattare le regole del processo alla semplicità della lite.

Questa misura consentirà di ridurre i tempi del processo civile di circa 6-9 mesi.

g) Chi non paga volontariamente i propri debiti dovrà pagare di più

Il debitore che costringe il creditore a rivolgersi al giudice per il recupero di quanto dovuto non può lucrare sulla lentezza delle procedure;

Verrà previsto un elevato tasso legale di interessi per il ritardato pagamento, in misura almeno pari a quelli di mercato

Questa misura comporterà una deflazione dell'uso strumentale del processo a fini dilatori e speculativi.

 

2 - Giustizia civile: azione per la riduzione dell’arretrato


Decisioni brevi delle cause pendenti mediante l’intervento degli arbitri

trasferimento innanzi all’arbitro, su accordo delle parti, delle cause pendenti davanti al giudice

Tale misura consentirà un significativo abbattimento dell’arretrato.
Questo intervento e quelli già esposti al punto 1), assicureranno il dimezzamento dell’arretrato perché consentiranno al giudice di decidere velocemente le cause residue pendenti  innanzi a lui.

 

3 - Processo esecutivo

a) Il creditore deve poter conoscere tutti i beni del suo debitore 

si introducono misure che consentono al creditore di sapere agevolmente quali sono i beni del suo debitore, favorendo in particolare la ricerca dei beni di più elevato valore e che più facilmente possono essere occultati, vale a dire i crediti (ad es. titoli di stato, rapporti di conto corrente bancario, obbligazioni, azioni, retribuzioni).viene conferito all’ufficiale giudiziario il potere di accedere on line alle banche dati pubbliche che contengono le informazioni patrimoniali che il creditore può utilizzare per i suoi pignoramenti.

b) Automatizzazione dei registri informatici di cancelleria relativi al processo di esecuzione 

si attribuisce al creditore che promuove il processo di esecuzione il compito di predisporre un file dal quale la cancelleria può estrarre automaticamente i dati da inserire nel registro.In questo modo si recupera un tempo compreso tra i 15 e i 60 giorni, attualmente impiegato dalle cancellerie degli uffici giudiziari per inserire manualmente nel registro informatico i dati relativi alle esecuzioni.

c) Trasparenza ed efficienza dei fallimenti dei concordati preventivi e delle esecuzioni sugli immobili 

si prevede di richiedere ai professionisti nominati dal giudice (curatore fallimentare, commissario del concordato e professionista delegato per le vendite immobiliari) un rendiconto periodico, da redigere e trasmettere al giudice con modalità informatiche, contenente i dati necessari per consentire al giudice un effettivo controllo.con tale misura il giudice avrà la possibilità di conoscere immediatamente la durata delle singole procedure esecutive, i costi che le stesse producono e lo stato in cui ognuna di esse si trova in un dato momento, con la conseguenza che potrà esercitare il pieno controllo delle stesse sia in relazione alla loro durata che alla loro corretta gestione.

 

4 - Semplificazione del processo civile Rafforzamento del principio di immediata, provvisoria efficacia di tutte le sentenze di primo e secondo grado.

Sarà consentito il recupero immediato dei beni e dei crediti richiesti in giudizio
 Sinteticità degli atti di parte e del giudice. Vengono individuate tecniche di redazione degli atti coerenti con la semplificazione del giudizio- Rimodulazione e riduzione dei tempi processuali. Vengono in tal modo superati i tempi processuali superflui
 Misure per il giudizio di appello: rafforzamento del divieto di nuove allegazioni e tipizzazione dei motivi di gravame. Intervento per evitare impugnazioni strumentali
 Revisione del giudizio camerale in Cassazione
 Limiti all’eccepibilità della questione di giurisdizione e competenza: sbarramento temporale della possibilità di contestare l'attribuzione della causa al giudice adito (amministrativo, ordinario, tributario).

 

5 - Informatizzazione integrale del processo civile

Con il processo civile telematico obbligatorio per il primo grado a decorrere dal 30 giugno 2014 e, per le Corti di appello, a decorrere dal 30 giugno 2015, si vuole avvicinare il servizio-giustizia agli operatori e ai cittadini mediante l’impiego delle tecnologie informatiche nel processo e conseguire notevoli risparmi di spesa attraverso la riduzione del cartaceo.

Adeguamento del processo civile alla gestione informatica dello stesso 

si propone di intervenire in maniera organica sulle tradizionali regole del processo per adeguarle alla nuova realtà del processo civile telematico, verso la costituzione di un vero e proprio codice del processo civile telematico.


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2 Riforma Processo Civile. Le idee del Governo.

5/7/2014

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Misure di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile

aggiornamento: 3 luglio 2014

L’intervento normativo programmato vuole introdurre nell’ordinamento disposizioni idonee a consentire, da un lato, la riduzione del contenzioso civile, attraverso la possibilità del trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria, d’altro lato, la promozione, in sede stragiudiziale, di procedure alternative alla ordinaria  risoluzione delle controversie nel processo. In particolare, la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale viene favorita dall’introduzione di un nuovo istituto che si aggiunge a quelli già esistenti nell’ordinamento con finalità analoghe: si tratta della procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

Complementari finalità di contrazione dei tempi del processo civile fondano le misure per la funzionalità del medesimo processo, quali la tipizzazione delle dichiarazioni rese al difensore, l’assegnazione al giudice del potere di adeguare il rito alla complessità della controversia, disponendo il passaggio, in presenza di cause “semplici”, dal rito ordinario a quello sommario di cognizione, nonché, anche in chiave dissuasiva del contenzioso,  la limitazione delle ipotesi in cui il giudice può compensare le spese del processo.

Il medesimo obiettivo di spinta nel senso della funzionalità del sistema giudiziario è perseguito dalle ulteriori misure per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali.

Deve essere considerato che, per effetto delle riforme attuate negli ultimi anni, nel rapporto Doing Business della Banca Mondiale l’Italia ha scalato ben 37 posizioni nella classifica sull’efficienza della giustizia (“ranking enforcing contracts”) passando dal 140° al 103° posto. Resta però il dato del rilevantissimo contenzioso pendente, soprattutto in appello e della sistematica violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848.
Si aggiunga che l’attuale gravissimo contesto economico rende indilazionabile la risoluzione del problema della giustizia civile ed impone l’adozione di misure finalizzate ad attuare un’inversione di tendenza nella durata dei procedimenti, così trasformando quello che attualmente è un fattore di appesantimento della crisi in un possibile volano per la crescita economica. 

L’intervento ha  l’obiettivo di superare le criticità sopra indicate e prende le mosse dalla scelta politica di valorizzare quanto più possibile la professionalità e le competenze del mondo dell’Avvocatura, quale attore primario nel contesto dell’amministrazione della Giustizia, chiamato alla responsabilità di un fattivo concorso alla deflazione preventiva del contenzioso civile mediate gli strumenti allo scopo introdotti.

Decisioni brevi delle cause pendenti mediante l’intervento degli arbitri


Sia nelle cause civili pendenti in primo grado che in grado d’appello le parti potranno congiuntamente richiedere di promuovere un procedimento arbitrale (secondo le ordinarie regole dell’arbitrato contenute nel codice di procedura civile espressamente richiamate). 
Le cause che consentono il trasferimento alla sede arbitrale non devono avere ad oggetto diritti indisponibili, né riguardare la materia del lavoro, della previdenza e assistenza sociale. 
Si ipotizza un requisito temporale che scrimina le cause interessate dall’istituto: il trasferimento in sede arbitrale sarà possibile solo ove la causa non sia stata assunta in decisione.
Al giudice che riceve la richiesta congiunta delle parti è rimessa la sola valutazione sulla sussistenza dei presupposti ora esaminati. Egli, effettuata tale verifica, trasmette il fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine circondariale forense in cui si trova l’ufficio giudiziario innanzi al quale è incardinato il giudizio per la nomina di un collegio arbitrale, ove le parti non provvedano esse stesse alla loro designazione. Gli arbitri devono essere individuati tra gli avvocati iscritti all’albo del circondario da almeno tre anni e che si siano resi disponibili con dichiarazione fatta al Consiglio dell’ordine circondariale.
Trasmesso il fascicolo all’arbitro, il procedimento prosegue dinanzi allo stesso e sono fatti salvi  gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale, mentre,  in via generale, è previsto che il lodo abbia gli stessi effetti della sentenza.
Nell’ipotesi in cui la traslatio sia disposta in grado d’appello, è previsto un tempo di centoventi giorni, entro il quale la soluzione stragiudiziale della controversia deve avvenire; in mancanza il processo deve essere riassunto entro i successivi sessanta giorni. Solo quando il processo è riassunto il lodo non può più essere pronunciato. E’ espressamente prevista l’estinzione del processo ove, nel caso di mancata pronuncia del lodo, non si faccia luogo alla riassunzione. Sono quindi richiamati, sempre nell’ipotesi in cui la traslatio in sede arbitrale avvenga in appello, il regime degli effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione sulla sentenza impugnata di cui all’art. 338 c.p.c.. Ancora, si potrebbe introdurre un termine di sessanta giorni per la riassunzione del giudizio a seguito di declaratoria di nullità del lodo pronunciato a seguito del trasferimento. Naturalmente la previsione sarà riferita al caso in cui alla declaratoria di nullità del lodo non si accompagni una decisione nel merito della controversia. Il previsto termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la nullità del lodo arbitrale.Conciliazione con l’assistenza degli avvocati (negoziazione assistita)

Rifacendosi all’esperienza di istituto noto dell’ordinamento francese, si vuole realizzare una procedura cogestita dagli avvocati delle parti e volta al raggiungimento di un accordo conciliativo che, da un lato, eviti il giudizio e che, dall’altro, consenta la rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale. Per talune materie, essa è tuttavia strutturata come condizione di procedibilità e ciò per accrescerne l’efficacia in chiave deflattiva e (per la diversità delle materie) in funzione complementare alla mediazione.

La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato sarà definita come un accordo mediante il quale le parti, che non abbiano adito un giudice o si siano rivolte ad un arbitro, convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere la controversia tramite l’assistenza dei propri avvocati in via amichevole.

Contenuto essenziale del predetto accordo sarà costituito dal termine per l’espletamento della procedura (in ogni caso non inferiore ad un mese) e dall’oggetto della controversia. In generale che l’accordo, analogamente a quanto previsto per l’arbitrato, non potrà avere ad oggetto diritti indisponibili.

Nel senso della valorizzazione della figura del professionista avvocato, si introdurrà una disposizione che conferisce allo stesso avvocato il potere di autentica delle sottoscrizioni apposte alla convenzione, per la quale è prevista, a pena di nullità, la forma scritta.
La proposta di intervento normativo ipotizza il regime di improcedibilità delle domande giudiziali quando sia in corso una procedura di negoziazione assistita in determinate materie.
In particolare, l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale per chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a controversie disciplinate dal codice del consumo, a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e, fuori dei predetti casi e di quelli previsti dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 (di mediazione obbligatoria), costituisce altresì condizione di procedibilità per chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro. Non sono sottoposte a tale regime le azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.

Sul piano processuale, è riproposta la disciplina già contenuta nel decreto legislativo n. 28 del 2010 sulla mediazione quanto alla rilevabilità, anche d’ufficio, entro la prima udienza, della improcedibilità qui regolata e sul meccanismo di differimento dell’udienza in caso di negoziazione non ultimata o da espletare.

La condizione di procedibilità si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il tempo concordato dalle parti. 
Sono sempre procedibili, per l’evidente esigenza di assicurare tutela in tali procedimenti, azioni monitorie, cautelari, ex art. 696-bis c.p.c., possessorie, di convalida di sfratto o licenza, opposizioni esecutive, camerali e azioni civili nel processo penale. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita non preclude la trascrizione della domanda giudiziale. Anche questa norma trova nell’ordinamento un precedente nell’art. 5, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 in materia di mediazione.

Andrà prevista la gratuità della prestazione dell’avvocato quando questi assista una parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (disposizione in linea con l’art. 17, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 28 del 2010). 
In chiave sistematica e in coerenza con la natura conciliativa dell’istituto, viene previsto, quindi, che il procedimento di negoziazione assistita non possa essere obbligatorio quando la parte può stare in giudizio personalmente.

Si dovranno regolare gli effetti dell’invito a stipulare la convenzione (non seguito da risposta o rifiutato).

L’invito a stipulare una convenzione che l’avvocato di una parte rivolge all’altra dovrà contenere, oltre all’indicazione dell’oggetto della controversia, lo specifico avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile. Si tratta di norma finalizzata con evidenza a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell’accordo. 
Poteri di certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito avviene ad opera dell’avvocato che formula l’invito e di certificazione della dichiarazione di mancato accordo sono espressamente conferiti agli avvocati designati per la negoziazione.

L’accordo raggiunto all’esito dell’attivazione della procedura di negoziazione assistita, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che li assistono, è previsto che costituisca titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Agli avvocati che hanno assistito le parti è dato il potere di attestazione dell’autografia delle firme e di verifica e attestazione della conformità dell’accordo stesso alle norme imperative ed all’ordine pubblico. Inoltre, per gli atti soggetti a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 del codice civile necessita invece autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Sono regolate le convenzioni di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

E’ esclusa l’applicazione della procedura di negoziazione assistita, nei predetti casi, in presenza di figli minori, i di figli maggiorenni portatori di handicap grave e i figli maggiorenni non autosufficienti.

L’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita da avvocati, sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, nonché certificato, quanto all’autografia delle firme  e alla conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono i menzionati procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Venuto meno, nei casi ora illustrati, ogni rapporto con l’ufficio giudiziario, nella più volte evidenziata finalità di valorizzazione della funzione dell’avvocatura, viene previsto che l’avvocato, il quale, mediante la convenzione di negoziazione assistita, abbia dato luogo all’accordo in tema di separazione o divorzio, è obbligato a trasmettere all’ufficiale dello stato civile, nel termine di dieci giorni, copia autentica e certificata dell’accordo. Per la violazione di tale obbligo da parte dell’avvocato è prevista  una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 50.000, per la cui irrogazione è competente il Comune ove devono essere eseguite le annotazioni negli atti di matrimonio previste dall’art. 69 dell’ordinamento dello stato civile.

La mancanza di un’udienza di comparizione dei coniugi nell’ipotesi di separazione consensuale tramite negoziazione assistita da un avvocato impone la modifica dell’articolo 3, secondo comma, della legge sul divorzio, prevedendo che il termine ivi previsto per la proposizione della domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio decorra dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita.
Dovrà quindi inserirsi nell’art. 69, comma 1, dell’ordinamento dello stato civile di cui al d.P.R. n. 396 del 2000, la lettera d-bis) al fine di prevedere l’annotazione negli atti di matrimonio degli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita  da un avvocato conclusi tra coniugi per la soluzione consensuale di separazione o divorzio.

Andranno regolati gli effetti sulla prescrizione del diritto fatto valere determinati dall’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita, equiparando il predetto invito alla domanda giudiziale. Dalla stessa data della comunicazione dell’invito, e per una sola volta, è impedita la decadenza dall’azione. Tuttavia, se l’invito non è accettato nel termine stabilito o è rifiutato, la domanda giudiziale, perché non operi la decadenza prevista dalla legge, deve essere proposta entro il medesimo termine decadenziale, che decorre dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla certificazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Andranno individuati gli obblighi specifici dei difensori cui è affidata la procedura di negoziazione assistita (divieto di essere nominati arbitri e obblighi di riservatezza).

Dovrà modificarsi  l’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 in tema di antiriciclaggio nel senso di escludere in capo all’avvocato l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, imposto ai professionisti dalla predetta legge, anche nell’ipotesi di consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, nella quale si sia innestata la procedura di negoziazione assistita come illustrata.

Andranno introdotte norme in materia di raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita illustrate. 
Andrà previsto in particolare:che i difensori siano tenuti a trasmettere copia degli accordi raggiunti mediante la procedura di negoziazione assistita al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo stesso è stato raggiunto;che il Consiglio nazionale forense provveda, con cadenza annuale, al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e trasmette i dati significativi delle medesime procedure al Ministero della giustizia, al fine di una compiuta valutazione dell’efficacia dell’istituto.
 Chi perde rimborsa le spese del processo

Nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo, con pari danno per la parte che risulti aver avuto ragione.
Con la funzione di disincentivare l’abuso del processo andrà previsto che la compensazione potrà essere disposta dal giudice solo nei casi di soccombenza reciproca ovvero di novità della questione decisa o mutamento della giurisprudenza.
 L’avvocato può sentire i testimoni fuori dal processo

Con la finalità di accelerare e razionalizzare le procedure di assunzione delle prove (prospettiva che si assume complementare all’ampio spazio concesso nel presente intervento normativo alla risoluzione stragiudiziale delle controversie), si propone di introdurre - nel capo II del titolo I del libro sul processo di cognizione del codice di procedura civile - una specifica norma mediante la quale si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l’onere di provare. 
Queste dichiarazioni, che possono essere rilasciate al difensore anche (ed auspicabilmente soprattutto) prima del giudizio, sono destinate all’utilizzazione nel processo, fermo il potere del giudice di esercitare sempre il suo prudente apprezzamento e di disporre l’escussione del dichiarante come teste. 
Nel quadro di un intervento tendente a valorizzare la professionalità dell’avvocato, il nuovo articolo 257-ter del codice di procedura civile rimette al difensore che raccoglie la dichiarazione il compito di identificare il teste, ai sensi dell’art. 252 c.p.c., e di attestare l’autenticità della dichiarazione resa.
Così configurate, le dichiarazioni scritte al difensore trovano sostanziale corrispondenza, pur nella diversità del contesto ordinamentale, nell’affidavit, quale istituto consolidato ed impiegato con successo non solo nelle procedure ispirate alla common law, ma praticato anche in altri ordinamenti continentali (come per l’istituto delle attestations regolato dagli artt. 200 ss., nel Titolo dedicato alla “administration judiciaire de la preuve” dal Nouveau code de procédure civile  francese).
 Le cause semplici richiedono un processo semplice

L’intervento è volto a consentire, per le cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, il passaggio d’ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, dal rito ordinario di cognizione al rito sommario, garantendo così una piena intercomunicabilità tra i due modelli di trattazione, che,  secondo la vigente disciplina processuale, è consentita, per le cause ad elevato tasso di complessità, esclusivamente nel senso inverso a quello proposto.
 Chi non paga volontariamente i propri debiti dovrà pagare di più

Al fine di evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell’applicazione del tasso legale d’interesse) e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato, andrà previsto, in coordinamento con la disciplina comunitaria sui ritardi nei pagamenti relativi alle operazioni commerciali (attuata con decreto legislativo n. 231 del 2002, recentemente modificato), uno specifico incremento del saggio di interesse moratorio durante la pendenza della lite. Allo scopo andrà integrato l’articolo 1284 del codice civile con l’aggiunta di due nuovi commi: il primo dovrà prevedere che, laddove le parti non abbiano esse stesse previsto la misura del tasso d’interesse moratorio, dal momento della proposizione della domanda giudiziale il tasso degli interessi legale deve considerarsi pari a quello previsto dalle richiamate disposizioni in tema di ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali; l’ulteriore comma aggiunto dovrà specificare che alla domanda giudiziale è equiparato l’atto con il quale si promuove il procedimento arbitrale.
 Automatizzazione dei registri informatici di cancelleria relativi al processo di esecuzione

Si propone di introdurre l’obbligo di depositare, nei processi esecutivi per espropriazione forzata, la nota di iscrizione a ruolo.

La ragione di tale innovazione è la seguente.

La formazione dei fascicoli dei processi esecutivi, sia mobiliari che immobiliari, costituisce da sempre il primo, rilevante “collo di bottiglia” nell’attività dei tribunali. Le cancellerie a ciò deputate devono infatti far fronte ad un numero rilevantissimo di esecuzioni provvedendo autonomamente all’iscrizione a ruolo della procedura. E’ sufficiente considerare che a livello nazionale il numero complessivo dei procedimenti per espropriazione forzata sopravvenuti è stato pari a 491.165 (nel 2009), 510.915 (nel 2010) e 527.304 (nel 2011), e quindi notevolmente superiore a quello delle cause di contenzioso ordinario (pari, rispettivamente, a 488.647, 446.283 e 389.390).
Il personale di cancelleria adibito alle esecuzioni individuali è, però, minore di  quello destinato alle sezioni civili.
In considerazione dell’imminente obbligatorietà del deposito telematico degli atti (a partire dal 30 giugno 2014, ex art. 16-bis DL 179/2012), sembra indifferibile un adeguato intervento normativo sul piano processuale.
Infatti, sia per le esecuzioni immobiliari che per quelle mobiliari presso il debitore, il codice di procedura civile dispone che il pignoramento sia trasmesso direttamente dall’ufficiale giudiziario in cancelleria. Ne consegue che il fascicolo dell’esecuzione deve essere formato dal cancelliere, che, come già rilevato, deve quindi provvedere anche all’iscrizione nell’apposito registro informatico.

Avviene di frequente, peraltro, che, per i motivi più disparati (pagamento satisfattivo o accordo per la rateizzazione, intervenuto successivamente al pignoramento), il creditore decida di non dare corso all’esecuzione, non depositando l’istanza di vendita, con conseguente estinzione del processo esecutivo. Ciò comporta che alla iniziale iscrizione nel registro del procedimento non segue alcuna ulteriore attività e, conseguentemente, neanche alcuna annotazione. 
Per accelerare l’iscrizione dei processi per espropriazione forzata e consentire il recupero di importanti risorse di personale di cancelleria è indispensabile avvalersi sia delle potenzialità dello strumento informatico, sia della collaborazione del creditore procedente.

Andrà pertanto essere introdotta la nota di iscrizione a ruolo (che attualmente è disciplinata solo nel processo di cognizione: art. 168 cpc), prevedendo (art. 159-bis disp. att. c.p.c.) gli elementi che la stessa deve contenere, così come avviene per il giudizio di cognizione (artt. 71 e 72 disp. att. cpc).

Sarà però anche necessario modificare le disposizioni che prevedono che il pignoramento (atto con cui inizia l’esecuzione: cfr. art. 491 cpc) sia trasmesso in cancelleria direttamente ad opera dell’ufficiale giudiziario procedente, prescrivendo che quest’ultimo provveda a consegnare l’atto al creditore procedente, chiamato a predisporre la nota d’iscrizione a ruolo e a presentarla unitamente al pignoramento, al titolo esecutivo ed al precetto. Al fine di agevolare la conoscenza da parte del debitore dei dati contenuti nel pignoramento e funzionali all’esercizio di importanti poteri processuali a quest’ultimo riservati (ad esempio la presentazione dell’istanza di riduzione del pignoramento o di conversione) andrà previsto che sino al deposito dell’istanza di vendita l’ufficiale giudiziario procedente conservi una copia del pignoramento mobiliare  a disposizione dell’esecutato.

Con gli interventi normativi proposti, si consentirà alla cancelleria di iscrivere a ruolo automaticamente i processi esecutivi, quando il creditore trasmette telematicamente la nota di iscrizione a ruolo, su un apposito atto strutturato. A norma, infatti, dell’art. 16-bis del D.L. n. 179 del 2012 a decorrere dal 30 giugno 2014 l’obbligo di deposito telematico riguarderà tutti gli atti endoprocessuali nei procedimenti incardinati dopo la predetta data. Dovrà quindi disporsi il deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo a partire dal 31 marzo 2015. Fino a tale data, comunque l’intervento normativo proposto potrà spiegare effetti, posto che la nota di iscrizione sarà oggetto di lettura automatica (col sistema del codice a barre) con conseguente, immediato sgravio dell’attività di cancelleria.

Andrà previsto che la non tempestiva iscrizione a ruolo dell’esecuzione ad opera del creditore procedente determina l’inefficacia del pignoramento (tale disposizione mutua la logica propria del processo di cognizione, ove è previsto che la ritardata costituzione delle parti determina la cancellazione della causa dal ruolo: cfr. art. 171 c.p.c.). Il termine all’uopo assegnato al creditore procedente è di dieci giorni per l’espropriazione mobiliare presso il debitore e l’espropriazione immobiliare, mentre è di trenta giorni per l’espropriazione presso terzi al fine di consentire al creditore procedente di apprendere il contenuto della dichiarazione del terzo pignorato (fuori dai casi in cui la stessa deve essere resa in udienza) prima di valutare se procedere all’iscrizione a ruolo della procedura.

L’ambito applicativo dell’intervento non dovrà comprendere l’esecuzione per consegna o rilascio e quella degli obblighi di fare e non fare, posto che in tali procedure l’intervento del GE è eventuale, essendo previsto:dall’art. 610, quando “sorgono difficoltà”dall’art. 611, quando è necessaria la liquidazione delle spese.

Il procedimento di ricorso al GE è peraltro del tutto deformalizzato (l’art. 610 cpc prevede che la parte possa rivolgersi al GE “anche verbalmente”), e, come tale, non compatibile con l’obbligo di deposito della nota di iscrizione a ruolo.

In considerazione del numero e della eterogeneità degli elementi ai quali occorre dare rilievo anche ai fini di  elaborazione statistica degli stessi, con riguardo in particolare alla complessità dei dati identificativi dei beni pignorati (soprattutto dei beni immobili, identificati sulla base delle coordinate catastali), è previsto che con proprio decreto, avente natura non regolamentare, il Ministro della giustizia possa individuare elementi della nota di iscrizione a ruolo del processo esecutivo ulteriori rispetto a quelli indicati nell’art. 159-bis disp. att. c.p.c..Il creditore deve poter conoscere tutti i beni del suo debitore

La proposta è volta in primo luogo a modificare il criteri di competenza territoriale per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti, attualmente governato dalla regola inderogabile dell’art. 26 c.p.c..
E’ evidente che l'interesse tutelato dal criterio dettato dal citato articolo 26 va identificato con quello del terzo chiamato a rendere la dichiarazione: l’interesse di un soggetto, cioè, che non è parte dell'espropriazione. 
Già con la riforma dell’esecuzione forzata del 2006, è previsto che il terzo, nell'assoluta maggioranza dei casi, può rendere la dichiarazione a mezzo lettera raccomandata indirizzata al creditore procedente. Con l’intervento in esame verrà definitivamente eliminato l’obbligo del terzo di comparire in udienza anche per i crediti retributivi: in tal caso la dichiarazione sarà resa a mezzo raccomandata ovvero mediante posta elettronica certificata.

Per i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165 del 2001 verrà meno dunque ogni funzione del criterio di competenza territoriale connesso al luogo di residenza del terzo debitore (art. 26 c.p.c.). Ne consegue che tale criterio potrà essere sostituito con una regola che garantisca la simultaneità del processo di espropriazione di crediti, a prescindere dal luogo di residenza dei terzi pignorati.

La concentrazione presso un unico foro dei procedimenti di espropriazione di crediti a carico di un unico debitore e rivolti a più terzi debitori  muove dall’esigenza di garantire un adeguato livello di tutela dell’esecutato consentendogli un pieno ricorso all’istituto della riduzione del pignoramento ex art. 546, secondo comma, c.p.c., che presuppone la pendenza dei procedimenti espropriativi presso un unico giudice. Tale esigenza è destinata ad acuirsi a seguito dell’introduzione della ricerca telematica dei beni da pignorare ex art. 492-bis c.p.c., perché aumenteranno le fonti di informazione del creditore procedente.

Inoltre, il simultaneus processus nell’espropriazione forzata di crediti evita ulteriori inconvenienti, quali la necessità di notificare molteplici atti di precetto in presenza di più terzi pignorati in forza di un credito vantato nei confronti di unico debitore, nonché l’onere per il debitore di proporre tante opposizioni per quanti sono i processi esecutivi generati da un’unica azione di recupero del credito.

L’esposta modifica dei criteri di competenza territoriale dell’espropriazione di crediti non intercetta in alcun modo il tema del riparto della giurisdizione esecutiva tra giudici apparenti a Stati diversi, posto che il criterio della residenza del terzo di cui all’art. 26 c.p.c. non rileva quale indice di collegamento ex l. n. 218 del 1995, tenuto conto che il terzo pignorato non è colui che subisce l’azione esecutiva. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 5827 del 1981, rel. Schermi, ha stabilito che nel settore dell’esecuzione forzata il modo di localizzazione territoriale è, per i crediti, quello del luogo in cui l’obbligazione è sorta o deve eseguirsi. Con la conseguenza che la giurisdizione italiana sussiste “se il credito oggetto dell’obbligazione è sorto o deve essere soddisfatto, con l’adempimento dell’obbligazione, nel territorio dello Stato italiano”.

Per i motivi che precedono per tutti i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti verrà radicata presso il tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

A tale regola generale fa eccezione l’ipotesi in cui il debitore è una pubblica amministrazione: in tal caso rimane invariata la regola vigente che lega la competenza del giudice dell’esecuzione al luogo di residenza del terzo pignorato. La ratio di tale opzione normativa risiede nell’esigenza di evitare che i tribunali di alcune grandi città, tipicamente sedi di PP.AA., siano gravati da un eccessivo numero di procedimenti di espropriazione presso terzi. Sono espressamente fatte salve le disposizioni contenute in leggi speciali che fissano diversi criteri di competenza esecutiva per l’espropriazione contro le PP.AA., quali, ad es. quella di cui all’art. 14, comma 1-bis, secondo periodo, della legge n. 669 del 1996.
 Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare

L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è volto a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e  presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei, tenuto conto che nei Paesi scandinavi i compiti di ricerca dei beni da pignorare sono demandati ad un’agenzia pubblica appositamente costituita e che in Spagna, Austria, Slovenia ed Estonia il creditore ha diritto di interrogare le banche dati pubbliche tramite l’ufficiale giudiziario anche prima di promuovere l’esecuzione (analogamente a quanto si propone in questa sede). In Germania è addirittura previsto il “registro dei debitori” (c.d. “Schwarze Liste” o “Lista nera”) che  crea una “lista di proscrizione” nei confronti del debitore, accessibile da chiunque. Una “lista nera” esiste anche in Belgio, ma in questo caso l’accesso è consentito soltanto a coloro che sono muniti di un titolo esecutivo.
La strada seguita sarà quella dell’implementazione dei poteri di ricerca dei beni dell’ufficiale giudiziario, colmando l’asimmetria informativa esistente tra i creditori e il debitore in merito agli asset patrimoniali appartenenti a quest’ultimo.
Tale “deficit” informativo verrà controbilanciato consentendo all’ufficiale giudiziario l’accesso diretto nelle banche dati pubbliche contenenti informazioni rilevanti ai fini dell’esecuzione, in primo luogo l’anagrafe tributaria, ivi compreso il c.d. archivio dei rapporti finanziari. Si ipotizza che l’accesso dell’ufficiale giudiziario alle banche dati possa aver luogo esclusivamente su autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, al fine di soddisfare le esigenze di tutela della riservatezza connesse a tale operazione di ricerca dei beni da pignorare. La competenza dovrà essere radicata nel tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, che costituisce un criterio che prescinde dalla localizzazione territoriale dell’asset da aggredire.  Il procedimento dovrà ripercorrere lo schema già previsto dall’articolo 15 della legge n. 3 del 2012, in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento del debitore civile, per l’accesso nelle banche dati pubbliche degli organismi di composizione della crisi.

Si dovrà prevedere che, terminate le operazioni di accesso alle banche dati, l’ufficiale giudiziario acceda ai luoghi appartenenti al debitore nei quali si trovano i beni emersi dall’interrogazione delle banche dati per procedere al pignoramento. Se la consultazione delle banche dati ha fatto emergere l’esistenza di più crediti, la scelta è rimessa al creditore, anche in questo caso replicando il modello generale che governa il pignoramento presso terzi. Spetta al creditore l’individuazione dei beni da sottoporre ad esecuzione nel caso in cui l’accesso alle banche dati ha consentito di rilevare l’esistenza sia di crediti che di cose. A tal fine dovrà prevedersi che il creditore possa chiedere di partecipare alle operazioni di pignoramento a norma del vigente art. 165 disp. att. c.p.c. e che l’ufficiale giudiziario, concluse le operazioni di ricerca telematica dei beni e prima di accedere ai luoghi, comunichi al procedente il relativo verbale invitandolo ad esercitare la scelta. In caso di inerzia del creditore, la richiesta di pignoramento diviene inefficace.

L’apposizione del vincolo d’indisponibilità sui crediti del debitore o sulle cose di quest’ultimo che sono in possesso di terzi ha luogo per mezzo della notificazione al debitore e al terzo del verbale che dà atto delle operazioni di ricerca e individuazione dei beni. Si dovrà introdurre in tal modo nell’ordinamento il pignoramento di crediti e cose del debitore nella disponibilità di terzi in forme analoghe a quelle del pignoramento diretto: ciò è qui reso possibile dalle informazioni apprese dalle banche dati consultate, tali da consentire l’individuazione “virtuale” dei beni. 

La modifica dell’articolo 543 del codice dovrà essere il precipitato necessario dell’introduzione delle nuove modalità di pignoramento dei crediti e delle cose appartenenti al debitore nella disponibilità di terzi individuate nelle banche dati. 
L’introduzione di un nuovo procedimento per l’autorizzazione alla ricerca telematica dei beni da sottoporre ad esecuzione renderà necessaria una specifica previsione relativa al contributo unificato dovuto, nonché l’individuazione del momento procedimentale in cui sorge l’obbligo di versamento. Va espressamente esclusa l’applicazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 115 del 2002 in tema di anticipazione forfettaria, in considerazione dell’assenza di notificazioni ufficiose da effettuare.
Dovrà introdursi, con finalità incentivante, una nuova modalità di retribuzione degli ufficiali giudiziari per il caso in cui si procede alle operazioni di pignoramento presso terzi a norma dell’art. 492-bis c.p.c. e mobiliari. 
 Eliminazione dei casi in cui la dichiarazione del terzo debitore va resa in udienza

In materia di espropriazione presso terzi in generale dovrà provvedersi, quale diretta conseguenza dell’introduzione dell’art. 26-bis, ad eliminare i casi in cui il terzo tenuto al pagamento di somme di denaro deve comparire in udienza per rendere la dichiarazione (crediti retributivi).  Ne consegue che la dichiarazione sarà resa dal terzo in ogni caso a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Tale misura potrà incrementare la competitività del sistema economico, dal momento che evita ad imprese di grandi dimensioni o a pubbliche amministrazioni le inefficienze connesse alla necessità di comparire in udienza.
 Obbligo di ordinare la liberazione dell’immobile con la pronuncia dell’ordinanza di vendita

Il provvedimento dovrà contenere la modifica dell’art. 560, terzo comma, del codice di procedura civile, diretta ad introdurre l’obbligo per il giudice dell’esecuzione immobiliare di ordinare la liberazione dell’immobile pignorato (non più “quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione”, bensì) quando autorizza la vendita.
L’intervento si propone l’obiettivo di conseguire la massima efficacia delle vendite forzate, ponendo l’immobile pignorato nella situazione di fatto e di dritto il più possibile analoga a quella di un immobile posto in vendita sul libero mercato. L’acquirente non sarà più esposto, quindi, alle incertezze legate ai tempi ed ai costi del procedimento di esecuzione per rilascio (art. 605 cpc) perché l’immobile sarà liberato da colui che lo occupa senza titolo prima dell’esperimento del tentativo di vendita.
 Provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione per rilascio

In merito alle esecuzioni per rilascio andrà delineato uno specifico procedimento che, in sede di rilascio, l’ufficiale giudiziario deve seguire al fine di liberare l’immobile dai beni mobili in esso eventualmente rinvenuti e che non debbono essere consegnati. Andrà previsto che l’ufficiale giudiziario provveda ad intimare alla parte tenuta al rilascio o a colui al quale risulta che i beni appartengono l’asporto entro un termine perentorio all’uopo assegnato. In mancanza si provvederà alla vendita coattiva degli stessi in presenza di una specifica istanza della parte istante e del pagamento anticipato delle spese ad opera di quest’ultima ovvero, in mancanza, alla distruzione e smaltimento dei beni, salvo in caso non sia evidente l’utilità della vendita. Qualora vengano rinvenuti documenti inerenti lo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale si prevede una specifica modalità di custodia degli stessi. La somma ricavata dalla vendita del bene potrà essere impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi di custodia e di asporto. L’eventuale eccedenza sarà impiegata per il pagamento dell’esecuzione per rilascio, quando i beni appartengono alla parte esecutata. Se i beni appartengono ad un terzo che non li ha rivendicati prima della vendita secondo le modalità previste quanto eccede il pagamento delle spese di custodia e trasporto è immediatamente versata al terzo.
 Infruttuosità dell’esecuzione

Potrà introdursi una fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (art. 164-bis disp. att. c.p.c.) quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo. Il giudice dell’esecuzione sarà chiamato a compiere una specifica valutazione a riguardo evitando che vadano avanti (con probabili pregiudizi erariali anche a seguito di azioni risarcitorie per danno da irragionevole durata del processo) procedimenti di esecuzione forzata pregiudizievoli per il debitore ma manifestamente non idonei a produrre il soddisfacimento degli interessi dei creditori in quanto generatori di costi processuali più elevati del concreto valore di realizzo degli asset patrimoniali pignorati. L’ordinanza di chiusura anticipata per infruttuosità sarà impugnabile nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi.
 Trasparenza ed efficienza dei fallimenti dei concordati preventivi e delle esecuzioni sugli immobili

Per la procedura fallimentare, di concordato preventivo con cessione dei beni e con continuità aziendale e per le procedure esecutive individuali su beni immobili sarà  prevista -  a cura del curatore, del liquidatore o del commissario giudiziale - l’obbligo di elaborazione e di deposito del rapporto riepilogativo finale, da redigere in conformità a quanto già previsto dall’art. 33, quinto comma, legge fallimentare. In caso di concordato con continuità aziendale, è introdotto anche l’obbligo del commissario giudiziale di redigere il rapporto riepilogativo periodico, già previsto per il concordato liquidatorio. I rapporti, sia periodici che finali, andranno obbligatoriamente redatti attenendosi ai modelli che saranno adottati con decreti del Ministro della giustizia e depositati in cancelleria con modalità telematiche. 
L’intervento avrà la finalità a consentire al giudice di esercitare un controllo efficace sullo stato delle procedure, evitando le numerosissime condanne per violazione della ragionevole durata del processo; inoltre, i giudici avranno a disposizione dati utilissimi per il conferimento degli incarichi ai professionisti, con indubbio incremento della trasparenza delle procedure esecutive stesse.
Inoltre si potrà conseguire l’obiettivo di far emergere, sul piano nazionale, di dati statistici indispensabili per una verifica dell’efficienza delle procedure esecutive individuali e concorsuali. In particolare, i rapporti riepilogativi finali e periodici consentiranno di far emergere e di comparare a livello nazionale i tempi di definizione delle procedure, le somme disponibili per la distribuzione ai creditori, il numero e il valore degli incarichi conferiti ai legali, la percentuale di soddisfacimento dei crediti, distinti per tipologie, i costi delle procedure e il rapporto con il ricavato.

Tratto dal sito del Ministero di Giustizia.

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Riforma Processo Civile. Le idee del Governo.

5/7/2014

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Proposte di interventi in materia di processo civile

aggiornamento: 3 luglio 2014

Il processo civile italiano è un insieme di tecnicalità progressive, l’una creata dall'altra, che rendono il suo risultato naturale, ovvero la sentenza, faticoso. 

Negli ultimi quarant’anni, a far tempo dalla legge introduttiva del nuovo rito del lavoro, gli interventi del legislatore sono stati numerosissimi ed hanno inciso sul tessuto connettivo originario del codice di procedura civile, compromettendone l’organicità e la sistematicità.  

Con il trascorrere del tempo, inoltre, il codice – progettato e promulgato in una particolare contingenza storica – ha sofferto sempre più pesantemente il progressivo aumento del contenzioso.

Se si guarda indietro per cercare di comprendere, senza preconcetti o pregiudizi, le cause dell’attuale inefficienza (cosa difficile, ma necessaria per capire dove e come intervenire), si noterà che, in disparte i casi di nuove forme di tutela c.d. differenziata per specifiche controversie (in primis quelle del lavoro), tutti gli interventi hanno avuto un minimo comune denominatore: adeguare il vecchio codice ad un nuovo imprevisto carico.

Anche l’apparato organizzativo a sostegno del codice è divenuto inadeguato a fronteggiare il numero delle pendenze.

Ciò posto, l’inefficienza del processo italiano è peraltro essa stessa occasione di lavoro per più categorie. Ma una economia dell’inefficienza è ciò che il Paese, sempre più immerso nella vicenda globale e dunque esposto a pagare in termini economici, culturali e politici le proprie arretratezze, non può più permettersi. Il processo civile deve essere strumento di attuazione delle regole sostanziali certamente attraverso il controllo dei suoi gradi, ma soprattutto a mezzo dell’intrinseca qualità “economica” delle sue tecniche, capace di compromettere in modo moderno il diritto di litigare con l’interesse generale.

In questa visione la comprensibilità del processo da parte di chiunque è costretto ad utilizzarlo, è condizione essenziale della sua eticità. Le parti debbono sapere chi, almeno in astratto e con una sensata prognosi, vincerà o perderà. Debbono sapere che il processo tende ad identificare chi vince con chi ha ragione. Esso dunque deve consentire, abbandonando il mito dell’imprevedibilità della decisione come dimostrazione della imparzialità del giudizio, una soluzione comprensibile anche per la sua ordinaria prevedibilità. 

La decisione deve pervenire ad un esito pratico corrispondente alla realtà che ha fatto nascere la lite. Deve perciò risolvere una lite in atto, con una decisione attuale e non con l'epitaffio di una lite che non c'è più. La prevedibilità deve riguardare, oltre che l’esito, anche la durata del processo: è necessario che le parti sappiano che, chiusa l’istruttoria, la decisione sarà presa in tempi prevedibili.

Pertanto occorre rimettere al centro del sistema la professionalità più assoluta e più controllabile dei protagonisti. 

Quando la causa va a sentenza e comincia a studiarla davvero, si trova di fronte a consulenze tecniche espletate benché inutili, a termini inutilmente concessi, a vuoti assoluti di istruttoria. Interviene a questo punto, fatalmente, la tecnica della giurisprudenza difensiva. E, pertanto, la ricerca della soluzione puramente tecnico processuale molto spesso distante dal quadro reale che ha creato la necessità del ricorso alla giurisdizione dello Stato. 

L'impugnativa, chiunque vinca, è a questo punto un esito obbligato e costante. Fino in Cassazione. 

La struttura del giudizio di cognizione

Il processo di cognizione introdotto dalla riforma del 1990 ed entrato in vigore nel 1995 a meno di venti anni dalla sua introduzione ha già mostrato numerosi limiti.

Il rito, come è risultato da molte (troppe) interpolazioni, è chiaramente farraginoso perché, dopo l’introduzione della causa, prevede una trattazione solo formalmente orale della stessa, una lunga appendice temporale dedicata alla trattazione scritta, quindi un’ulteriore  dilatazione temporale per consentire al giudice di verificare le istanze e necessità istruttorie, infine, dopo l’espletamento eventuale dell’istruttoria, una lunga  pausa  prima che la causa possa passare nella fase finale della decisione. 

A ciò si aggiunga che l’esercizio dei poteri delle parti – in specie quanto alle memorie successive agli atti introduttivi – non è efficacemente organizzato e, spesso, è inutile.  

In ogni caso, l’oralità del processo è del tutto contraddetta.

Si pensi, per una traccia di lavoro, ovvero per capire ciò che deve essere abbandonato, all’art.163-bisc.p.c. 

I termini a comparire sono nella disponibilità dell’attore che può decidere di citare in qualsiasi data, nel rispetto del minimo di novanta giorni. Poiché il giudizio pende dall’iscrizione a ruolo (da effettuarsi nei dieci giorni dalla notifica dell’atto di citazione), la scelta della data della citazione grava già la durata del processo di un tempo indeterminato che tuttavia incide sulla durata complessiva del procedimento senza che il giudice possa, unilateralmente, sulla stessa intervenire.

L’art. 163 c.p.c. descrive efficacemente il contenuto della citazione in cui la parte dovrebbe esaurire il suo compito assertivo, il suo onere di allegazione e offrire i mezzi di prova di cui intende avvalersi. Parimenti l’art. 167 quanto al convenuto relativamente alla comparsa di costituzione. 

In realtà, tuttavia, al di fuori delle ipotesi di nullità della citazione e della decadenza per le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, la parte non incorre in decadenze se non ha offerto tutti gli elementi in suo possesso per la trattazione della causa. Cosicché risulta sostanzialmente una formalità l’udienza di prima comparizione delle parti prevista dall’art. 183 c.p.c., anziché essere, come potrebbe essere, lo spartiacque definitivo tra prospettazione e ricerca della soluzione.

A quell’udienza, infatti, il giudice “se richiesto” e quindi obbligatoriamente secondo l’interpretazione fornita alla norma, deve concedere alle parti  tre successivi termini per il deposito di memorie (in un pacchetto unitario di cui non dispone): di trenta giorni per precisare o modificare le domande, di successivi trenta giorni per replicare e articolare mezzi di prova e produrre documenti  (non prove nuove e documenti nuovi, ma anche quelli di cui era già in possesso) e di venti giorni per prova contraria. 

Basta osservare che le integrazioni o le modifiche ben potrebbero essere fatte oralmente all’udienza di comparizione ovvero impedite oltre l’atto scritto introduttivo salvo che non siano connesse inscindibilmente al legittimo contenuto della comparsa di risposta, mentre  le offerte di prova dovrebbero essere già contenute nell’atto di citazione e nella comparsa di costituzione, salvo le ulteriori richieste istruttorie rese necessarie dai successivi assestamenti dell’apparato assertivo delle parti. 

Si osservi ancora che nessun obbligo ha la parte di articolare mezzi di prova in una delle prime due memorie ben potendo inserirle a verbale, in uno degli atti introduttivi e indifferentemente in una delle due prime memorie. 

Nella prassi, è ben noto, nelle memorie spesso si riproducono (anche letteralmente) argomenti e richieste già contenute negli scritti precedenti o nei verbali, oppure si sovrappongono nuove richieste rendendo un percorso ad ostacolo l’individuazione delle allegazioni e delle richieste rilevanti. 

In tal modo la portata dell’art. 163 c.p.c. è quella di un manifesto di rugiadose buone intenzioni, più che l’atto con il quale si esercita il potere dispositivo precisandone l’essenziale rapporto tra diritto di ricorrere al giudice ed interesse generale.  

Il ruolo di direzione del processo da parte del Giudice è, quindi, sensibilmente compresso e il giudice è scarsamente incentivato a studiare il processo prima della scadenza dei termini dell’art. 183 c.p.c.  

Quindi, istruito il processo con l’ammissione e l’assunzione delle prove e giunti all’udienza di precisazione delle conclusioni, ancora il giudice, se richiesto, deve concedere il termine di giorni sessanta per le comparse conclusionali e di venti per le memorie di replica (altri tre mesi sottratti alla sua disponibilità).

Nessun giudice è in grado di prevedere cosà succederà nel suo lavoro negli ottanta giorni intercorrenti tra quello in cui ha trattenuto la causa per la decisione e quello in cui il fascicolo processuale tornerà nella sua disponibilità. 

Il giudice dovrebbe tenere conto per esempio delle cause contumaciali in cui concede termini solo per le comparse conclusionali, dei termini per le ordinanze cautelari, di quelli per i procedimenti che vanno in riserva con il rito sommario, di quelli ancora per le ordinanze istruttorie, ecc. ecc. E si consideri che potrebbero arrivare sul suo tavolo un numero imprecisato di provvedimenti cautelari o di emergenze varie che non era in grado di pianificare quando ha assunto la causa in decisione.

Il giudice deve avere invece chiaro il flusso del suo lavoro per poterlo organizzare anziché subirlo.

L’udienza di precisazione delle conclusioni dovrebbe essere il termine ultimo per l’attività difensiva dell’avvocato, magari prevedendo lo scambio delle memorie conclusionali precedentemente a tale udienza, in modo che a quella data il processo si chiuda definitivamente  e il Giudice possa decidere  immediatamente (per es. con una sentenza contestuale essendosi già svolta tutta l’attività difensiva) o nei processi più complessi assegnandosi un termine per il deposito della sentenza e della motivazione.

Si consideri che ai tempi morti del processo si deve aggiungere la sospensione dei termini processuali feriali. Anche nella migliore delle ipotesi di udienze fissate nell’immediatezza della scadenza dei termini da concedere (cosa che nella realtà non può avvenire) almeno un anno del tutto inutile.
 

Occorre pertanto intervenire fissando un principio di delega volto a razionalizzare i termini processuali e a semplificare i riti processuali mediante la omogeneizzazione dei termini degli atti introduttivi.

 

Interventi sulle impugnazioni

Appello
Potenziamento del carattere impugnatorio dell’appello anche attraverso l’assestamento normativo e la stabilizzazione dei recenti orientamenti giurisprudenziali. 
Il giudizio è chiuso nella citazione, o nel ricorso, in primo grado. Nulla di ciò che è stato estraneo a tale atto, o alla sentenza, può essere portato davanti al giudice di appello. 
Questa misura può apparire certamente costosa in termini di giustizia sostanziale, ma essa rende il difensore consapevole della delicatezza della sua funzione 
In un ordinamento nel quale la difesa tecnica è considerata capace di realizzare il diritto costituzionale di difesa, essa deve, appunto, essere realmente tale. Tecnica, cioè professionalmente adeguata e come tale controllabile dal processo e dagli ordinamenti deontologici.
Il giudice di appello potrebbe motivare nel modo sommario di sempre ovvero anche richiamando la motivazione adottata dal primo grado quando essa risulta aver superato le doglianze.
 Ricorso per cassazione
Interventi sul rito davanti alla Corte di Cassazione, nel segno di un uso più diffuso del rito camerale, e nella prospettiva, possibile, di una riforma costituzionale che veda inseriti in un organo giudiziario supremo giudici oggi appartenenti ad altre magistrature, ovvero che veda attribuire ad una corte riformata controversie oggi regolate sulla base della doppia giurisdizione. 
In tale prospettiva si potrebbe individuare un modello pressoché unico di processo civile supremo, con le particolarità essenziali rese necessarie, nel nostro caso di un giudizio su fatti che digradano diritti e non su atti che riguardano interessi legittimi.

 - Analoga previsione per una Sezione specializzata in materia di impresa (tribunale delle imprese) per le controversie di mercato (concorrenza) e quelle societarie.

Pare opportuno ripetere che l'efficienza e la comprensibilità del processo sono obiettivi raggiungibili anche nella misura nella quale si riuscirà ad individuare un modello di processo il più possibile strutturalmente unitario rispetto a tutte le controversie “civili”, ovvero non penali. 

Individuare intorno al nucleo costituito dalla funzione di accertare la verità legale, regole il più possibile comuni alla cultura delle diverse giurisdizioni, e con grande attenzione al dialogo tra le grandi corti europee, sembra un obiettivo oggi suggerito dalla storia.

 

Le singole aree di interventoIl giudizio di primo gradoL’udienza di prima comparizione e trattazione.

Il progetto elaborato dalla Commissione Vaccarella ha il pregio di ottimizzare la fase di introduzione e trattazione della causa nel rito ordinario semplicemente prevedendo l’anticipazione del “botta e risposta” processuale rispetto alla prima udienza di comparazione e trattazione ex art.183, attualmente rimandato a dopo la relativa celebrazione. 
Con qualche opportuno adattamento, questa soluzione potrebbe essere ripresa: la trattazione resterebbe bensì distinta fra un momento orale (in ossequio all’art.180 c.p.c., che impone l’oralità nel processo civile) e un momento scritto, ma quest’ultimo, anziché seguire il primo, lo anticiperebbe.
È un dato di comune esperienza, come si è accennato innanzi, che il primo anno dalla notifica della citazione è sostanzialmente perso in non-attività: in disparte la costituzione del convenuto, con le note decadenze di cui all’art.167 c.p.c., oltre ai novanta giorni (oltre all’eventuale sospensione feriale) occorre considerare  che, scontatamente,  nulla accade nella prima udienza di comparizione, ove non vi siano le attività ex art.182 c.p.c, per cui, dinanzi alla certa  richiesta di concessione del noto triplo termine ex art.183 sesto comma c.p.c. (per ulteriori, almeno, 80 giorni) , occorrono quasi due terzi (e spessissimo un anno intero ed oltre) del primo anno di pendenza della causa perché il giudice istruttore possa decidere ex art.187 c.p.c. nell’udienza ex art.184 c.p.c. della rilevanza ed ammissibilità delle prove richieste dalle parti e quindi aprire la fase istruttoria o far entrare immediatamente la causa in decisione. 
Non si può, peraltro, non ricordare le prassi se non contra, certamente praeter legem, in uso presso molti tribunali, addirittura di far decorrere a ritroso rispetto all’udienza ex art.184 c.p.c., per effettuare il predetto giudizio di rilevanza o ammissibilità delle prove, il triplo termine: in questi casi fra la notifica della citazione e l’udienza  ex art.184 c.p.c. possono passare anche due (o tre…) anni; ovvero di rinviare anche di un anno l’udienza ex art. 184 e far  decorrere da una data fittizia nel tempo – quindi, non dall’udienza  di trattazione – il triplice termine.
Si tratta di tempo, inutilmente ed irrimediabilmente perso: un lusso che un processo civile moderno ed efficiente non può permettersi.
Ebbene, riprendendo la soluzione già impostata dalla Commissione Vaccarella si potrebbe “riempire” questo abnorme spazio vuoto, questa vera e propria perdita di preziosissimo tempo processuale. La razionalizzazione avverrebbe semplicemente, prevedendo, ad instar del rito lavoro, lo scambio delle memorie, oggi previste come appendice scritta dopo la udienza di trattazione, prima della stessa. 
Contemporaneamente al maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie dovrà scattare la preclusione per la contestazione ex art.115, secondo comma, c.p.c. 
La soluzione presenta i seguenti vantaggi.  

Dal lato delle parti e dei difensori:
1) non stravolge le prassi in uso da lustri, perché lo scambio delle memorie prima dell’udienza avviene nel rito lavoro, in quello locatizio, in quello cautelare, nei camerali, nella decisione mista ex art.281 quinquies c.p.c. ecc.;  
2) consente ai difensori di continuare l’attività di trattazione quando la causa è “fresca” in memoria, perché studiata di recente per avviarla o per resistere alla domanda avversaria e non a distanza di un anno o peggio a seconda di quando è fissata l’udienza ex art.184 ;  
3) soprattutto, nel volgere di nemmeno mezzo anno, consente (e – si badi – impone ) al giudice istruttore di arrivare all’udienza di trattazione con tutte le allegazioni assertive ed istruttorie espletate dalle parti e quindi, di esercitare  causa cognita tutti poteri ex art. 38 c.p.c., 153, secondo comma, 182 c.p.c., e, soprattutto 187 c.p.c.; non solo, anche se raramente, addirittura ex art.281 sexies c.p.c. quindi invitando le parti alla precisazione delle conclusioni e discussione immediata orale della causa, con contestuale pronuncia  della sentenza a verbale; 
4) nel caso di processi a struttura bifasica, es. opposizione all’ingiunzione, consente alle parti di argomentare sull’istanze ex art.648 e 649 c.p.c. con ampiezza di argomenti, senza aggiungere – come accade nella prassi – anche una o due memorie difensive per discutere della provvisoria esecutività del decreto opposto, e poi cadere nel vortice delle memorie ex art.183 sesto comma c.p.c. 

Dal canto del giudice:
1) consente di trovare assestato definitivamente per la prima udienza – salva rimessione in termini, ovviamente, o sanatoria di vizi processuali o di presupposti processuali carenti – il materiale assertivo ed istruttorio dell’intera causa; 
2) permette, quindi, di poter esercitare i poteri ex art.182 c.p.c.,  164 c.p.c., 59 legge 69/2009, 221 ss. c.p.c. ecc. 273, 274 ecc., riducendo al minimo, quindi, il rischio che la causa  proceda verso una sentenza a contenuto meramente processuale;
3) permette di esercitare il potere dovere di cui all’art.101, comma secondo, c.p.c.;  
4) consente di tentare  la conciliazione fra le parti e/o fare la proposta conciliativa ex art.185-bis c.p.c (così, peraltro, bloccando inesorabilmente  il triennio rilevante ai fini risarcitori della Legge Pinto, con evidente risparmio per le casse dello Stato), di interrogare liberamente le parti, sempre conoscendo esattamente i termini della causa; 
5) permette di esercitare in prima  udienza stessa la valutazione di ammissibilità e rilevanza delle prove costituende richieste dalle parti e, finanche, nei casi più semplici, di avviare alla decisione immediata la causa;  
6) consente di eliminare, con un tratto di penna, l’udienza ex art.184 c.p.c.,  udienza che, tra l’altro, spesso non vede la pronuncia sulle prove da parte del giudice ma una riserva di provvedimento; con ulteriore dilatazione dei tempi.

L’accelerazione, nel pieno rispetto di tutti i principi del processo (parità armi, diritto alla prova, rapidità, concentrazione immediatezza, oralità) è evidente e sostanzialmente certa, salvo errori procedurali. 
Ciò posto, va peraltro anche evidenziato che il nuovo art. 183 Vaccarella ripete, dopo lo scambio degli atti introduttivi, lo schema della prima memoria per entrambe le parti e quindi una seconda memoria in replica.
Il contenuto è quello ben noto derivante dall’applicazione del nodo di dipendenza degli atti processuali: tutto ciò che, in linea assertiva (domande, eccezioni, contestazioni e mere allegazioni di fatti principali) ed istruttorio (prove precostituite o costituende) è diretta conseguenza di quanto contrapposto nell’atto precedente dall’avversario.   
Ora, come ben noto a tutti, in realtà il sistema della prima memoria ex n.1 sesto comma art.183 c.p.c. è irrazionale: è ben difficile che il convenuto, il quale, onerato delle note decadenze si sia costituito nei termini, allegando quanto necessario in punto assertivo come istruttorio,  abbia altro di principale (nel senso di esercizio di poteri primari quali domande, eccezioni o allegazioni di fatti principali) da dire nella prima memoria; quindi la prima memoria è per definizione di pertinenza esclusiva  dell’attore che deve replicare alla costituzione del convenuto. 
Si propone allora di apportare una variante basata su una prassi largamente e proficuamente utilizzata nell’esperienza processuale, quella delle memorie con termini diversificati per le parti a seconda di chi sia il primo a dover rispondere al precedente atto avversario. 
La prima memoria sarebbe, dunque, di sola pertinenza dell’attore, a cui poi farebbe seguito la replica del convenuto.
 L’udienza di precisazione delle conclusioni. 

La necessità di far precedere il momento orale da quello scritto (e non viceversa) si pone, come accennato, oltre che nella fase del processo che precede l’istruzione probatoria, anche nella fase successiva, e cioè nella fase in cui vengono precisate le conclusioni e la causa viene rimessa in decisione.  
Nell’attuale regime, all’udienza di precisazione delle conclusioni, il giudice, se richiesto, deve concedere il termine di giorni sessanta per le comparse conclusionali e il successivo termine di giorni venti per le memorie di replica.
Si determina quindi un’ulteriore perdita di prezioso tempo processuale, la quale non nuoce soltanto alla singola causa ma determina riflessi negativi sull’organizzazione del lavoro complessivo del giudice, il quale non ha alcuna diponibilità del fascicolo tra la remissione in decisione e la scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.
Si propone quindi di invertire, anche con riguardo a questa fase del processo, la sequenza procedimentale attualmente in vigore, prevedendo lo scambio delle memorie conclusionaliprima dell’udienza di precisazione delle conclusioni. 
In questa udienza, dunque, si avrebbe l’ultimo contatto tra gli avvocati e il giudice e quest’ultimo sarebbe in condizione di decidere immediatamente, eventualmente anche in via contestuale per le cause più semplici.
 Valorizzazione dell’istituto della proposta di conciliazione del giudice (art.185-bis c.p.c.) anche in funzione della definizione dell’arretrato e del contenimento delle richieste di indennizzo per irragionevole durata del processo. 
Il nuovo strumento della proposta conciliativa previsto dall’art.185-bis c.p.c. (inserito dall’art.76 d.l. 21 giugno 2013, n.69) potrebbe costituire un mezzo per accelerare la definizione delle cause pendenti, come dimostra la circostanza che l’istituto trova cittadinanza in diversi ordinamenti stranieri e come dimostra altresì la sua prima esperienza applicativa in diversi tribunali italiani, nei quali la percentuale di accettazione delle proposte conciliative formulate dal giudice è sinora significativa.
Del resto, uno dei principi sulla cui importanza la dottrina processualistica ha da sempre richiamato l’attenzione è il principio di collaborazione fra le parti ed il giudice. Di questo principio non si è fatto mai seria applicazione per una elementare ragione: lo spettro della ricusazione del giudice da parte dei patroni ove egli abbia, anche se solo in via  prognostica, “anticipato l’esito della decisione”.
Questa idea è evidentemente errata, sol che si considerino altre primarie ipotesi in cui il giudice probabilisticamente anticipa la decisione: quelle cautelari, le inibitorie processuali, gli stessi filtri impugnatori ecc. 
Rispetto alle giuste integrazioni dello strumento, in specie l’impossibilità di ricusazione del giudice, andrebbe tuttavia prevista l’equiparazione della accettazione della proposta giudiziale alla sentenza, ai fini della valutazione della produttività del giudice. 
Peraltro, l’importanza dello strumento dovrebbe travalicare anche il singolo giudizio e quindi consentire la riduzione in parte qua dell’arretrato, se, come è stato sostenuto, la proposta conciliativa rileva ai fini dell’impedimento della decorrenza del termine triennale della legge Pinto. 
Come recentemente rilevato, infatti, “ il giudice potrebbe  formulare comunque una proposta conciliativa, specie nei processi la cui durata ha  superato il termine ragionevole di tre anni,  poiché tale iniziativa se anche dovesse fallire,  comunque conseguirebbe il risultato di escludere la possibilità per le parti che l’avessero rifiutata di richiedere l’indennizzo per irragionevole durata del  processo”, e ciò in ragione del “nuovo” art.2, comma 2-quinquies, lettera f), della legge 24 marzo 2001 n.89 (c.d. legge Pinto), introdotto dall’art.55 d.l. 22 giugno 2012, n.83, secondo cui la richiesta di indennizzo va respinta in ogni caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.
Collegando questi dati si potrebbe, allora, prevedere l’obbligatoria proposta conciliativa ex art.185-bis c.p.c. in tutti i processi pendenti a rischio legge Pinto. 
Un perfezionamento – ma solo per le cause nuove - potrebbe essere nel senso di affidare al giudice che formuli la proposta una valutazione prognostica dell’esito della lite allo stato degli atti, cioè prima della valutazione  di ammissibilità e rilevanza delle prove: prognosi presuntiva ovviamente aperta “alla prova contraria” ossia alla impregiudicata ed illimitata possibilità per il giudice di cambiare idea e decisione ad istruttoria conclusa: il che, del resto, se si ha la pazienza di guardare in un’ottica unitaria il fenomeno del processo cautelare e della causa di merito, non dovrebbe sorprendere o sconvolgere più di tanto, proprio perché da sempre esiste questa decisione, oggi addirittura provvisoriamente  stabile nei casi di tutele cautelari anticipatorie  ex art.669-octies sesto comma c.p.c.  
Evidenti sarebbero anche i benefici potenzialmente conseguibili in ambito europeo sulla durata dei nostri processi.
 Le impugnazioni

L’appello

Individuazione delle criticità.
La ragione principale dell’arretrato delle cause civili d’appello non è costituita dalla procedura, ma in parte è costituita dalla irrazionalità della geografia giudiziaria, in parte (e soprattutto) dalla inefficiente di organizzazione degli uffici e del lavoro dei magistrati:
- in tutte le Corti d’Appello il carico di ciascun Collegio è superiore alle 500 unità (fonte: Banca d’Italia, 2008). Oltre questa soglia si ritiene comunemente che il flusso di lavoro non sia gestibile;
- i magistrati sono distribuiti in modo non omogeneo: in alcune Corti d’Appello il carico di lavoro è notevolmente inferiore a quello che si registra in altre Corti d’Appello. Si pone pertanto un problema di geografia giudiziaria;
- alcune Corti d’Appello, le quali hanno un carico di lavoro superiore, presentano tuttavia un tasso maggiore di produttività. Si pone pertanto un problema di organizzazione degli uffici e del lavoro dei singoli magistrati.

Obiettivo della riforma con riguardo al giudizio di appello.
Individuate le criticità, è evidente che la riforma deve tendere al potenziamento di una linea evolutiva già presente nell’attuale ordinamento, quella volta a realizzare un giudizio di appello strutturato in forma impugnatoria. 
- Un giudizio di appello che non faccia ripartire il processo daccapo, ma che sia finalizzato a correggere gli eventuali errori commessi dal giudice di primo grado e a concludere il processo (evitando il più possibile la sua rimessione al giudice di primo grado).
- Un giudizio di appello che serva da cerniera tra l’accertamento dei fatti (demandato al giudice di primo grado) e il controllo di legittimità (demandato in ultima istanza alla Corte di cassazione), consentendo di acquisire le prove illegittimamente non ammesse dal giudice di primo grado, di superare il suo illegittimo diniego di competenza ovvero la nullità dell’atto introduttivo, di rinnovare gli atti processuali nulli. 

I principi ispiratori.
La riforma del giudizio di appello – anche tenuto conto dell’esigenza di assestamento dei più recenti interventi normativi nonché dell’opportunità di rendere stabili gli orientamenti recentemente prevalsi nella giurisprudenza di legittimità – deve ispirarsi ai principi di seguito illustrati:
- rafforzamento del carattere di impugnazione a critica vincolata fondata sui seguenti motivi: a) violazione di una norma di diritto sostanziale o processuale; b) errore manifesto di valutazione dai fatti.
- definitiva conferma, anche attraverso opportune precisazioni testuali ai precetti già contenuti nella nuova formulazione dell’art.342 c.p.c., del principio per cui, a pena di inammissibilità del gravame, l’appellante deve indicare nell’atto introduttivo i capi della sentenza che impugna e illustrare le modificazioni che richiede di apportarvi in conseguenza della violazione della legge ovvero dell’errore manifesto che egli imputa al giudice di primo grado.
- rafforzamento dei divieto di nova, mediante la previsione secondo la quale non solo non è consentito all’appellante di proporre nuove domande, nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova (in conformità a quanto già disposto dall’attuale formulazione dell’art.345 c.p.c.) ma gli è precluso anche solo di introdurre nuove ragioni o deduzioni in diritto per dimostrare la fondatezza giuridica delle domande e delle eccezioni precedentemente proposte, che non siano già state sottoposte al giudice di primo grado;
- introduzione di criteri di maggior rigore – anche avvalendosi dei risultati dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di rilevanza del giudicato interno, anche di carattere implicito – nella disciplina dell’eccepibilità o rilevabilità, in sede di giudizio di appello, delle questioni pregiudiziali di rito;
- ulteriore restrizione del novero delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, salvi i diritti di difesa e al contraddittorio;
- ampliamento dell’utilizzo del provvedimento dell’ordinanza (soggetta a ricorso per cassazione) in funzione decisoria (ad es. per la declaratoria dell’inammissibilità ovvero dell’improcedibilità, nonché per il rigetto dell’appello all’esito dell’udienza di discussione).

Il giudizio di cassazione

Revisione della disciplina del giudizio camerale.
Il giudizio di cassazione è stato oggetto di troppi interventi in pochi anni. Tutti diretti ad introdurre un qualche meccanismo che eliminasse l'arretrato. 
Il risultato della farragine legislativa di cui siamo vittime, è stato, dopo l’eliminazione del cosiddetto filtro a quesiti che tante resistenze ha incontrato nel mondo dell'avvocatura, e con l'ultimo intervento di cui al d.l. n. 69 del 2013 convertito nella legge n.98 del 9 agosto 2013, l’introduzione di una normativa relativa al rito camerale, assolutamente paradossale.
Come è noto, oggi il relatore a cui è stata assegnata all'interno delle sezioni una causa, se gli appare possibile definire il giudizio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., ovvero secondo il percorso camerale che dovrebbe essere di maggiore celerità e semplicità, deposita una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la pronuncia alla quale egli tende. Dopo di che, come sappiamo, avvenuta la notificazione del giorno dell'adunanza e della relazione, gli avvocati delle parti hanno facoltà di presentare memorie e di chiedere di essere sentiti.
A questo punto abbiamo la situazione di un avvocato che conosce già l'intenzione del relatore e con essa quella, sicuramente probabile, del collegio. Egli in realtà ha di fronte un vero e proprio progetto di definizione della causa con tutte le possibili rationes.
Del tutto evidente a questo punto è che il difensore che si vede prospettare una sconfitta si trovi di fronte ad una possibilità difensiva assai più grande di quella che addirittura gli compete nel momento in cui la causa invece viene attribuita al teoricamente più garantito rito della udienza pubblica.
Ulteriore risultato è la doppia fatica del relatore, relazione, adunanza, discussione con i colleghi, stesura di una sentenza nella quale tiene conto delle critiche alla relazione, ovvero di un'ordinanza di rimessione alla pubblica udienza, che rende questo rito del tutto irragionevole. Esso contraddice la sua funzione cosicché accade, probabilmente solo in relazione alla quantità di fatica dei relatori delle singole sezioni, che ancora troppe siano le cause che, benché di agevole definizione e nelle quali sostanzialmente il ricorrente si duole solo di aver perduto la causa e ripete argomentazioni già esaminate dal giudice di merito, vadano alla udienza pubblica.
Sembra dunque utile lavorare sull'attuale struttura dell’art.380-bis codice di procedura civile ritornando allo schema classico dell’udienza in camera di consiglio, e tenendo conto della felice esperienza in questa direzione della corte di cassazione penale.
Sappiamo infatti tutti bene che la miglior situazione della cassazione penale non è soltanto dovuta all'ottima organizzazione che la contraddistingue ma anche alla struttura delle norme di cui agli articoli 610 e 611 del codice di procedura penale. In sostanza il primo presidente della cassazione, attraverso gli uffici spoglio esistenti presso le sezioni, destina, se ritiene, le cause alla camera di consiglio. Le parti avvertite della data di trattazione e fino a 15 giorni prima possono interloquire per iscritto.
Questo meccanismo, oggi vigente per quanto riguarda la cassazione penale e dunque anche in quel caso riguardando la sorte di delicatissimi diritti della persona, rispetta pienamente la logica della camera di consiglio e la funzione della corte di legittimità. Nella quale non si vedono ragioni di distinguere strutturalmente il giudizio camerale secondo che si tratti di giudizio civile o di giudizio penale.
Sembra dunque che quella felice esperienza possa essere riprodotta, con gli adattamenti del caso, nel giudizio civile. I ricorsi, assegnati ai relatori, vengono, su decisione del presidente titolare della sezione, quando ne appare agevole la soluzione, rimessi alla camera di Consiglio. I difensori ed il procuratore generale, avvertiti, nell'udienza possono depositare memorie atti e quant'altro ritengano utile. In più i difensori possono, fino ad un termine breve di cinque giorni liberi prima dell'udienza, depositare ulteriori atti anche per replicare al procuratore generale.
La camera di consiglio decide con ordinanza il ricorso, ovvero la rimessione dell'esame del medesimo alla pubblica udienza.
In questo modo sembra che facendo salva l'occasione professionale del difensore attraverso la replica al procuratore generale ed eliminando l'inutile richiesta di discutere oralmente, si possa pervenire ad un risultato processuale assolutamente compatibile con i principi costituzionali.

Interventi normativi per risolvere discrasie funzionali e strutturali.
A parte la necessità di rivedere il procedimento camerale, iI giudizio di cassazione soffre, oggi, di profonde discrasie di carattere tanto strutturale quanto funzionale.

Le discrasie funzionali sembrano dipendere soprattutto:
- dal numero (oggi intollerabilmente elefantiaco) dei consiglieri addetti alla Corte di cassazione; 
- dai relativi criteri di selezione (che dovrebbero risultare radicalmente diversi da quelli, para-automatici, dell’anzianità salvo demerito), che consenta la formazione di una “Corte” (e non di una disordinata moltitudine di giudici) di legittimità, che consenta la formazione di un vero “diritto vivente” a direzione relativamente costante ed accettabilmente prevedibile;
- dalla necessità di una nuova più pregnante responsabilizzazione dei “quadri dirigenziali intermedi”  (Presidenti titolari e Presidenti di collegi), cui affidare, con riunioni periodiche, la funzione di controllo nomofilattico intrasezionale, individuando ex ante, attraverso l’indicazione di “blocchi di materie”, quelle destinate ad un periodico approfondimento in riunioni periodiche, tenendo conto della giurisprudenza (consolidata o prevalente) “di sezione”;
- dalla concorrente e conseguente necessità di una radicale revisione dei criteri di nomina dei relativi incarichi da parte dell’organo di autogoverno, che conduca (finalmente) ad una autentica e non spartitoria selezione di uomini compiuta sulla base di accertate ed indiscusse professionalità;
- dalla creazione dell’ufficio del giudice di Cassazione, che si avvalga della collaborazione di neo-laureati, selezionati sulla base del voto di laurea e del tipo di tesi discussa in quella sede, previa indicazione dai presidi dei dipartimenti di giurisprudenza, cui affidare compiti di studio e di ricerca.

Le discrasie strutturali, oltre a quella già segnalata relativa al procedimento camerale, attengono alle seguenti problematiche:
- il problema del vizio di motivazione - Se si accoglie la prospettiva per cui il giudizio di cassazione non può essere soltanto un presidio dello ius costitutionis, ma occorre garantire anche lo ius litigatoris, occorre rivedere il tema del sindacato sulla motivazione, consentendolo – anche alla luce della recente pronuncia delle sezioni unite dell’aprile scorso - quanto meno al caso di “grave ed insanabile contraddittorietà” o di “grave ed insanabile insufficienza”;
- I motivi di ricorso - Potrebbe essere opportuno indicare espressamente, nell’art. 360 c.p.c., che - nelle ipotesi non frequentissime e tuttavia talora ricorrenti in cui un vizio della sentenza rilevi davvero sotto prospettive diverse - quel vizio può eccezionalmente essere illustrato richiamando contemporaneamente più motivi di ricorso, senza che ciò comporti il rischio della declaratoria di inammissibilità, da riservarsi invece alla sola “mescolanza e la sovrapposizione di motivi d’impugnazione eterogenei”. Previsioni come questa servono ad impedire che impostazioni troppo rigorose o formalistiche, che talora la Cassazione ha adottato, inducano i difensori a complicare e moltiplicare oltre misura, a scapito della chiarezza, la redazione degli atti introduttivi;
- autosufficienza del ricorso e lunghezza degli atti - Al fine di eliminare ogni base normativa ad orientamenti giurisprudenziali particolarmente restrittivi, è opportuno precisare, nell’art. 366, n. 6, che, ai fini del rispetto del requisito dell’autosufficienza, la “specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” significa soltanto che nel ricorso dovrà essere indicato il luogo della produzione del documento, e non già che il contenuto del documento debba essere trascritto nell’atto (è quanto la Corte di Cassazione ha chiarito nel gennaio scorso, ma si tratta di indicazioni che è preferibile vengano normate). Del resto, c’è anche l’ulteriore prescrizione per cui, ex art. 369, n. 4, i documenti su cui il ricorso si fonda debbono essere prodotti di nuovo, in allegato al ricorso;
- giudicato e art. 372 c.p.c. – Potrebbe essere opportuno prevedere, all’art. 372, la possibilità di documentare - perché non sia vanificata la rilevabilità ex officio - il sopravvenuto giudicato (ipotesi particolarmente ricorrente nei giudizi tributari, dove l’esigenza di impugnare più atti tra loro connessi non di rado consente il formarsi del giudicato su questioni pregiudiziali che, tuttavia, non può esser fatto valere nei giudizi, già pendenti in cassazione,  aventi ad oggetto atti dipendenti);
- riformulazione dell’art. 360-bis. - Viste le difficoltà, illustrate da tutti i commentatori, di comprendere il significato del n. 2 (“quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo”), sarebbe opportuno che la norma fosse riscritta, tenuto conto delle interpretazioni che sono state suggerite, e in modo da far emergere un precetto univoco, che esprima con maggior chiarezza l’interpretazione prevalente;
- modifica dell’art. 392 c.p.c. - Vista la difficoltà, dopo anni dall’inizio del processo, di individuare dove stia la parte alla quale notificare “personalmente”, nel termine di decadenza di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza, la citazione in riassunzione davanti al giudice di rinvio, è opportuno modificare l’art. 392 c.p.c. nel senso di consentire che l’atto sia notificato all’avvocato costituito davanti alla Corte.

Ulteriori proposte di interventi.
L’attuale carico di arretrato della Corte è enorme. Più del numero dei ricorsi giacenti va considerata la durata dell’attesa  dell’udienza nella quale verranno trattati. Si va dai quattro ai sei anni. Un tempo intollerabile.
Sembra utile prevedere dunque, a completamento delle precedenti proposte, altri due interventi.
Il primo diretto ad imporre che la formazione dei ruoli venga effettuata non tanto e non solo in considerazione della anzianità della cause ma della loro rilevanza economica, sociale e comunque nomofilattica. Per evitare che nell’attesa si consolidino correnti giurisprudenziali inutilmente costose.
Il secondo che imponga alla Corte di adottare modelli di motivazione, anche assertivi, che comunque abbandonino la tentazione di sistemazione scientifica, a tutti i costi, degli istituti adoperati, o anche solo sfiorati. La sentenza della Corte Suprema deve essere atto di autorità motivato, anche solo con riferimento ai propri indirizzi, e comunque secondo una assoluta esigenza di sintesi.
Occorrerebbe, infine, anche tenuto conto dei recenti interventi legislativi in materia (d.l. n.69/2013), prevedere o comunque consentire una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all’Ufficio del Massimario e del Ruolo, mediante loro applicazione, per un numero limitato di udienze mensili, come consiglieri.
Inoltre il principio di delega sulla giurisdizione mira alla introduzione di un meccanismo che acceleri la definizione delle questioni di giurisdizione impedendo quando oggi accade non di rado, e cioè che la questione di giurisdizione venga decisa con una declinatoria a distanza di anni dalla introduzione della causa. Tutt’oggi le sez. un. della cassazione ritengono che la parte che sceglie il giudice di primo grado possa, in caso di esito della lite a lui sfavorevole, contestare la giurisdizione del giudice prescelto mediante appello, a cui indefettibilmente segue il ricorso per cassazione; il tutto, con lo spreco di tempi processuali dai due ai quattro anni nella migliore delle ipotesi.
Infine viene introdotto il principio di delega sulla sinteticità che è reso inevitabile dal processo civile telematico; la gestione informatica degli atti impone una riconsiderazione della loro lunghezza, contenuto e tecnica di redazione.


tratto dal sito del Ministero della Giustizia.
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Pos obbligatorio. Il neo Direttore del fisco invoca la sanzione.

4/7/2014

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ROMA . 3 luglio - ''Credo ci voglia una scelta politica aggiuntiva rispetto a uno strumento che per ora è solo di moral suasion''. Risponde così il neo-direttore dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, a una domanda sull'efficacia contro l'evasione dell'obbligo del Pos per i professionisti.
Inizia l'era Orlandi nella lotta all'evasione fiscale. Nella sua prima uscita pubblica, alla consegna dei premi di laurea Lef al Cnel, il nuovo direttore dell'Agenzia delle Entrate chiede piu' efficacia delle norme contro il nero a partire dall'obbligo del Pos per i pagamenti elettronici dei professionisti che cosi' com'e', senza la previsione di controlli e sanzioni, non basta.

Rossella Orlandi ritiene necessaria ''una scelta politica aggiuntiva rispetto a uno strumento che, per ora, e' solo di moral suasion''. Ma non c'e' solo il pugno di ferro nella sua strategia, per Lady fisco si puo' trasmettere il messaggio che ''le tasse sono una cosa bella''. In questo senso, va per esempio la riapertura della rateizzazione da parte di Equitalia, prevista dal decreto Irpef, che riguarda debiti fiscali per 20 miliardi.

E quindi invece di preoccuparsi delle esigenze dei cittadini la novella Capa del Fisco italiano si preoccupa di un obbligo lacunoso e invoca la introduzione della sanzione per colmare tale lacuna.
Grazie mille.!
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