Studio Legale Associato Carugno & Cimarelli
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Cassazione. Quando la segnalazione in Centrale Rischi, da parte di una banca, e' illegittima.

9/11/2014

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La Cassazione, con una sentenza molto interessante, ha provato a mettere qualche perimetro al potere delle banche di segnalare in Centrale Rischi, una posizione di sofferenza.

Di seguito il testo integrale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 settembre – 6 novembre 2014, n. 23646 
Presidente Forte – Relatore Acierno 

Svolgimento del processo 

Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Firenze ha rigettato l'impugnazione proposta da G.P. in proprio e quale legale rappresentante della s.a.s. Giuntini Paolo e C. nonché da S.R. avverso la sentenza di primo grado con la quale non era stata riconosciuta la responsabilità della Cassa di Risparmio di Pescia e Pistoia per duplice illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia della sofferenza delle parti appellanti eseguita dall'Istituto di credito a fine maggio 1992 ed a metà giugno dello stesso anno. 
Il giudice di primo grado era pervenuto al rigetto all'esito di consulenza d'ufficio ritenendo che fosse ravvisabile nei clienti della banca una situazione comparabile all'insolvenza. 
La Corte d'Appello, al contrario, ha ritenuto che con riferimento alla prima segnalazione relativa ad una sofferenza di 522.000.000 di lire non poteva ravvisarsi una condizione equiparabile all'insolvenza dal momento che la banca deteneva in pegno titoli pubblici di cui erano titolari le parti debitrici, alienati solo dopo la segnalazione per l'importo di oltre 470.000.000., con conseguente riduzione dello scoperto a poco più di 50.000.000, peraltro produttivo della seconda segnalazione. Ha osservato al riguardo la Corte d'Appello che nella specie non vi era una situazione di perdurante scoperto dal momento che la società poteva far fronte alle esposizioni debitorie e che una vendita tempestiva dei titoli peraltro debitamente autorizzata fin dal febbraio dalla società avrebbe ridotto drasticamente il debito anche in ordine agli interessi passivi indebitamente maturati. 
Risultava, in conclusione, non comprensibile il comportamento della banca che, invece di provvedere alla vendita dei titoli, trasferiva l'intera posizione a sofferenza. 
Tuttavia, osservava la Corte d'Appello che la segnalazione doveva ritenersi corretta in ordine al debito residuo al netto della vendita dei titoli dal momento che una volta realizzato il pegno ed in mancanza di ulteriore liquidità la situazione equiparabile all'insolvenza era ravvisabile. 
La dedotta legittimità della seconda segnalazione determinava il rigetto della domanda risarcitoria. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione la società in accomandita semplice ed i suoi soci affidandosi ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un motivo l'istituto bancario. La Cassa di Risparmio di Pistoia ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. 

Motivi della decisione 

Con l'unico motivo di ricorso viene dedotta ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. la radicale contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla legittimità della seconda segnalazione nonostante l'illegittimità della prima che della seconda è stata causa in quanto determinata, secondo la ricostruzione dei fatti eseguita dalla stessa sentenza impugnata, da un comportamento non diligente della banca che ha provveduto tardivamente (e solo dopo la segnalazione) alla vendita dei titoli detenuti in pegno, così determinando la quasi integralità della esposizione debitoria residua. 
L'esposizione del motivo è preceduta dall'illustrazione del fatto controverso. 
Nell'unico motivo di ricorso incidentale l'istituto bancario contesta l'illegittimità della prima segnalazione ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., rilevando, in particolare, che alla stregua della circolare della Banca d'Italia n. 139 del 1991 debbano essere ricomprese nel concetto di "sofferenza" le situazioni d'insolvenza od equiparabili, indipendentemente dalle garanzie che le assistono e dalle previsioni di perdita. Non c'è bisogno di una condizione d'incapienza irrecuperabile ma è sufficiente una grave difficoltà economica quale quella riscontrabile in capo alla società anche in considerazione delle mere aspettative di miglioramento economico e di concessione di mutui o finanziamenti. 
Si ritiene di dover preliminarmente affrontare il motivo di ricorso incidentale in quanto relativo alla prima e più consistente situazione di sofferenza segnalata alla Centrale Rischi da parte della Cassa di Risparmio. 
Il motivo è inammissibile. La censura pur se genericamente formulata ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, conseguentemente, astrattamente qualificabile come violazione di legge, si fonda sulla contestazione della valutazione fattuale eseguita dalla Corte d'Appello in ordine alla prima segnalazione. La comparazione degli indicatori della condizione economico-patrimoniale della società è stata eseguita con accuratezza e con motivazione del tutto esauriente ed adeguata dalla Corte d'Appello. In particolare, la Corte ha rilevato che la società, nel settembre 1992, subito dopo la seconda segnalazione aveva provveduto all'integrale ripianamento del suo scoperte - che al 31/12/91 era stato concesso un mutuo per ottocento milioni di lire garantito da titoli di stato per 600.000.000; che fin dal febbraio 1992 la società autorizzava la vendita di parte dei titoli, così come la seconda tranche nel maggio del 1992 ma l'istituto vi provvedeva soltanto dopo la segnalazione. L'esistenza della garanzia, veniva, di conseguenza, non valutata in sé ma in correlazione con la possibilità di ottenere immediata e capiente provvista. Peraltro, sotto il profilo della non corretta applicazione dei criteri di riconoscimento dell'insolvenza così come definiti dalla Banca d'Italia, deve osservarsi che la Corte d'Appello ne ha correttamente illustrato le caratteristiche, previo inquadramento delle medesime nel corretto sistema normativo delle fonti e, proprio partendo da esse ha formulato la valutazione d'illegittimità della segnalazione sotto il profilo, in particolare del facile recupero della provvista mancante. 
In ordine all'unico motivo del ricorso principale, deve preliminarmente disattendersi l'eccezione d'inammissibilità per difetto del momento di sintesi fattuale, richiesto a pena d'inammissibilità dall'art. 366 bis cod. proc. civ. ultima parte, ratione temporis applicabile. La sintesi del fatto controverso è stata, infatti, svolta dalla parte ricorrente in apertura del motivo, con apposita epigrafe. Poiché la collocazione grafica non può che essere ininfluente e dall'esame del contenuto del paragrafo denominato "fatto controverso" risulta adeguatamente illustrato sia il fatto che la contraddittorieta "decisiva" in forma sintetica, può procedersi all'esame della fondatezza del motivo stesso. 
Al riguardo deve rilevarsi che l'affermata legittimità della seconda segnalazione contrasta nettamente e risulta incompatibile sul piano logico con la opposta valutazione riferita alla prima. Tale valutazione si fonda, infatti, in particolare, sul comportamento quanto meno non ispirato alla diligenza del banchiere da parte dell'istituto di credito,per non aver provveduto alla sollecita vendita dei titoli di stato invece di differirne l'alienazione ad un momento successivo alla segnalazione. Secondo quanto affermato dalla Corte d'Appello la vendita anticipata avrebbe determinato il sostanziale azzeramento dell'esposizione, comunque ridotta a poco più di 50.000.000 di lire rispetto alla cifra molto più elevata della prima segnalazione. Da tali premesse consegue che il debito residuo, a parte il suo modesto ammontare e la sua recuperabilità (avvenuta poco dopo la segnalazione) è stato determinato dal comportamento della banca che ha ritenuto di differire la vendita titoli ad un momento successivo alla prima segnalazione, per effetto della quale si sono determinate le conseguenze d'impedimento di accesso al credito denunciate dalla parte ricorrente. 
La contraddittorietà tra premessa e conclusione relativamente alla seconda segnalazione è insanabile, tanto più che la Corte d'Appello ha espressamente riconosciuto che la società debitrice aveva risposto ai solleciti della banca dimostrando piena propensione al ripianamento mediante la vendita dei titoli. 
L'accoglimento del motivo, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte controricorrente, non è privo d'interesse per il ricorrente dal momento che l'insussistenza di un "danno risarcibile" viene desunta dalla Corte d'Appello esclusivamente dalla legittimità della seconda segnalazione che, comunque avrebbe giustificato la chiusura delle linee di credito. 
In conclusione il ricorso principale deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione. Il ricorso incidentale deve invece essere dichiarato inammissibile. 

P.Q.M. 

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. 
Accoglie il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.
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Diritto all'oblio. Novità dalla Corte di Giustizia Europea. 

14/5/2014

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La Corte di Giustizia Europea ha letteralmente riscritto le regole sul “diritto all’oblio” con la sentenza C. Giust. UE, causa C-131/12, pubblicata il 13.05.2014, dalla Grande sezione.

 Infatti, è stato stravolto un principio ossia la non responsabilità dell’intermediario (ISP) per i contenuti da questo indicizzati.

In pratica, fino a ieri sera, chiunque avesse trovato pubblicati, su un qualsiasi sito internet, i propri dati sapeva che aveva per esercitare il diritto all’oblio solo la strada di presentare una richiesta di cancellazione al titolare del sito che, materialmente, aveva curato la specifica pubblicazione. 

La Corte di Giustizia, ha invece, detto che il motore di ricerca è titolare di tutti i dati personali indicizzati sulle proprie pagine.

Pertanto, ogni cittadino europeo che voglia chiedere la cancellazione delle proprie informazioni dal web deve fare un’unica domanda al motore di ricerca stesso (per es.: Google). E ciò vale anche se la notizia è corretta ed è stata legittimamente pubblicata.

Il motore di ricerca è obbligato, in presenza di un legittimo esercizio del diritto alla privacy e all’oblio da parte dell’utente del web, a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata sulle proprie pagine, i link verso pagine web pubblicate da siti terzi e contenenti informazioni relative a tale persona. E l’obbligo scatta anche se il nome o tali informazioni non vengano cancellati dalle pagine web interessate, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione sulle pagine in questione sia di per sé lecita.

Se il motore di ricerca, una volta ricevuta la diffida, non avrà ottemperato alla richiesta, l’interessato potrà procedere, contro di questi, presso il tribunale della propria residenza oppure potrà rivolgersi al Garante della Privacy.


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Telefonate "mute"... le decisione del Garante.

6/4/2014

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IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
Nella riunione odierna, in presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vice presidente, della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici e della prof.ssa Licia Califano, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale; Visto il Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, di seguito Codice) ed, in particolare, l'art. 11 che fissa, tra l'altro, alcuni principi cardine cui deve essere improntato il trattamento dei dati personali, tra i quali quelli della liceita' e correttezza; Visto il provvedimento del Garante n. 474 del 6 dicembre 2011 (pubblicato sul sito www.garanteprivacy.it, doc. web n. 1857326) con il quale l'Autorita' ha prescritto a Enel Energia S.p.A. e Reitek S.p.A. l'adozione di una serie di misure, tra le quali alcune relative all'effettuazione di chiamate «mute»; Vista la sentenza del Tribunale di Roma n. 18977 del 26 settembre 2013 (doc. web n. 1857326) con la quale, rigettando l'impugnativa proposta da Enel Energia S.p.A. e Reitek S.p.A. avverso il menzionato provvedimento, il Tribunale ha confermato integralmente le argomentazioni ivi contenute nonche' le misure prescritte alle societa' destinatarie; con condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali; Visto il provvedimento del Garante n. 482 del 30 ottobre 2013 (doc. web n. 2740497) con il quale l'Autorita' ha adottato uno schema di provvedimento generale in materia di chiamate mute, con contestuale avvio, mediante pubblicazione del relativo avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale n. 274 del 22 novembre 2013, di una consultazione pubblica sulle misure ivi indicate; Visti gli esiti della consultazione pubblica, tesa ad «acquisire osservazioni e commenti sull'adeguatezza delle misure ipotizzate e sulle relative modalita' attuative nonche' eventuali ulteriori proposte operative»; Considerati, in particolare, i contributi pervenuti, nel previsto termine di 60 giorni, da diverse associazioni di categoria e da soggetti appartenenti al mondo imprenditoriale, da un lato, e da associazioni di consumatori e singoli interessati, dall'altro; Vista la documentazione in atti; Viste le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del Regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000; Relatore il dott. Antonello Soro; Premesso: sono pervenute all'Autorita' numerosissime segnalazioni da parte di interessati che hanno lamentato la ricezione di chiamate indesiderate; tra esse, oltre alle telefonate a carattere commerciale effettuate con intervento dell'operatore, sono state oggetto di segnalazione fin dalla seconda meta' del 2011 anche moltissime telefonate cd. «mute» (quelle cioe' nelle quali la persona contattata, dopo aver sollevato il ricevitore, non viene messa in comunicazione con alcun interlocutore), la cui ricezione reiterata e continua, a volte anche per 10-15 volte di seguito e spesso protratta nel tempo, ha cagionato un particolare disturbo ai destinatari ai quali, in difetto appunto di interlocutore, sono stati preclusi tutele e rimedi. Le telefonate «mute», come emerge anche dal testo di numerose segnalazioni e dalla lettura di svariati blog reperibili in internet dedicati allo specifico tema, possono ingenerare nel chiamato ansieta', allarme, interrogativi circa la provenienza e disappunto, sia poiche' si e' naturalmente portati a porle in diretta relazione con comportamenti illeciti (controlli indebiti, molestie, verifiche di malintenzionati preliminari alla commissione di eventuali reati, quali furti o aggressioni etc.), sia perche' si ha la sgradevole sensazione dell'impossibilita' di essere messi in contatto con qualcuno potenzialmente foriero di rilevanti informazioni. Non sono state rare, infatti, le segnalazioni nelle quali gli interessati hanno corredato di significativi particolari le loro denunce: l'avere figli adolescenti fuori di casa, genitori anziani non conviventi, familiari malati etc. In tutti i casi, all'ansia ed al fastidio si associa la frustrazione connessa al senso di impotenza e all'incapacita' di reagire all'evento. Il fenomeno e' stato oggetto di interesse anche in altri Paesi, nei quali si e' provveduto a porre le basi per una sua regolamentazione: si considerino, al riguardo, le specifiche prescrizioni contenute nel documento predisposto nel Regno Unito dall'Ofcom (Independent regulator and competition authority for the UK communication industries), del 1° ottobre 2010, denominato «Tackling abandoned and silent calls», disponibile al link http://stakeholders.ofcom.org.uk/binaries/consultations/silentcalls/s tatement/silentcalls.pdf, nonche' quelle contenute nel documento predisposto negli Stati Uniti dalla Federal Communications Commission (FCC), del 15 febbraio 2012, denominato «Report and order in the matter of rules and regulations implementing the telephone consumer protection Act of 1991», disponibile al link http://hraunfoss.fcc.gov/edocs_public/attachmatch/FCC-12-21A1.doc. Il Garante si pone, nell'approccio al descritto fenomeno, l'esclusiva ed istituzionale finalita' di tenere nel debito conto le ragioni degli interessati e le loro legittime aspettative di tutela; nel convincimento, tuttavia, che siano, cosi', salvaguardate anche l'operativita' e l'efficienza degli operatori di telemarketing, dal momento che le chiamate «mute» comportano spesso l'effetto di compromettere, minandola, qualsiasi futura disponibilita' dell'interessato all'ascolto e all'adesione alla proposta commerciale. Per queste ragioni, specie in una prospettiva di medio-lungo periodo, l'adozione di accorgimenti e correttivi tesi alla riconduzione del fenomeno entro fisiologici limiti di tollerabilita' soddisfa l'interesse di tutti i soggetti coinvolti all'adozione di comportamenti e pratiche commerciali piu' virtuose, cioe' meno invasive e piu' efficienti. L'intervento dell'Autorita' mira in definitiva a regolamentare e limitare il ricorso a quelle particolari modalita' di trattamento dei dati dei destinatari di iniziative di telemarketing che, per quanto si dira' nel prosieguo, costituiscono il presupposto dell'eventuale verificarsi delle chiamate «mute». Tali modalita', idonee a determinare eventi segnati dalle richiamate caratteristiche di crescente invasivita', possono contravvenire alla previsione dell'art. 11 del Codice che impone - pena l'inutilizzabilita' del dato - che il trattamento dei dati personali avvenga «in modo lecito e secondo correttezza». In senso adesivo, sul punto, anche la richiamata pronuncia del Tribunale di Roma di rigetto dell'impugnativa proposta da Enel Energia S.p.A. e Reitek S.p.A. avverso il provvedimento del 6 dicembre 2011; il giudice ha infatti affermato, al riguardo, che «l'utilizzo dei dati personali per effettuare una chiamata muta in luogo che una proposta commerciale costituisce un trattamento di dati contrario al fondamentale canone della correttezza indicato dall'art. 11 del Codice, atteso che tutto il sistema di selezione e formulazione delle chiamate ... mira ad ottimizzare il successo delle chiamate passate agli operatori facendo ricadere il rischio ed il disagio della chiamata muta sui destinatari». Una politica commerciale particolarmente aggressiva la quale, a discapito degli interessati, abbia il solo obiettivo di garantire l'efficienza del call center mediante un abuso indiscriminato e non corretto dei dati personali degli interessati medesimi, non puo' infatti considerarsi conforme alla richiamata fattispecie di legge, tenuto anche conto del forte impatto e delle possibili degenerazioni cui il fenomeno puo' dar luogo. E cio', naturalmente, anche qualora la persona contattata abbia preliminarmente acconsentito all'utilizzo dei propri dati per finalita' commerciali ovvero, in caso di informazioni tratte dall'elenco telefonico, l'utenza in questione non sia stata preliminarmente iscritta nel Registro delle opposizioni. Seppure infatti l'interessato dispone innegabilmente di un potere dispositivo sulle informazioni personali che lo riguardano - che si concreta, tra l'altro, nella libera facolta', prevista e disciplinata dall'ordinamento, di consentire, nei modi e nelle forme fissate, che altri utilizzino quei dati per finalita' esplicite, legittime e determinate -, non altrettanto puo' dirsi in ordine alla possibilita' che il soggetto cui i dati si riferiscono avalli, autorizzandoli, attivita' di trattamento dei propri dati effettuate secondo modalita' illecite o, comunque, non corrette. A tale categoria, anche per le ragioni gia' menzionate, possono essere ricondotte le operazioni di trattamento connesse all'utilizzo dei dati personali degli stessi interessati attuate secondo modalita' tali che, in alcuni casi, per quanto osservato, non conseguono l'effetto cui esse normalmente tendono, e cioe' l'effettuazione di telefonate con operatore a scopo promozionale, bensi' quello del possibile verificarsi di un accadimento diverso e ulteriore, peraltro non soggetto, allo stato, ad alcuna regolamentazione. Ci si riferisce, proprio, all'effettuazione di chiamate «mute»; di telefonate, cioe', particolarmente invasive e di disturbo, le quali, sebbene poste in essere per il conseguimento dello scopo proprio dell'attivita' di telemarketing, e cioe' la conversazione tra operatore e potenziale cliente tesa alla promozione di beni o servizi, se e quando si verificano, perdono le richiamate caratteristiche, dal momento che si risolvono, in effetti, in meri tentativi di contatto, cui non fa neanche seguito l'instaurazione di una conversazione con un operatore ne' tantomeno la formulazione di alcuna proposta. Il descritto fenomeno ha peraltro fatto registrare - lo si e' detto - un deciso, significativo incremento specie negli ultimi mesi ed ha richiesto complesse attivita' di indagine, innanzitutto per determinare la riconducibilita' agli effettivi autori, e dunque a soggetti determinati, di alcune delle telefonate in questione. Le indagini, anche di carattere ispettivo, condotte dall'Ufficio hanno avuto finalita' conoscitive, di monitoraggio, di accertamento - anche squisitamente tecnico - nonche' di verifica circa l'osservanza delle norme in materia di protezione dei dati personali, con specifico riguardo proprio all'adozione, nei trattamenti di dati personali di utenti destinatari di chiamate promozionali con operatore, di modalita' idonee alla potenziale generazione di telefonate silenti ed al rispetto del richiamato art. 11 del Codice. Dai controlli cui si e' fatto cenno e' emerso, preliminarmente, che in tutti i casi oggetto di segnalazione si trattava di telefonate effettuate da call center per finalita' commerciali mediante l'impiego, ormai diffusissimo e generalizzato, di sistemi automatizzati di instradamento della chiamata agli operatori. L'Autorita' ha accertato che nella maggior parte dei casi le liste dei possibili destinatari delle chiamate commerciali vengono caricate sulla piattaforma informatica utilizzata dai call center - che puo' essere proprietaria ovvero messa a disposizione da un soggetto terzo - la quale, mediante l'impiego di un software concepito proprio per il funzionamento dello specifico sistema, compone i numeri e smista le telefonate ai diversi operatori del call center, in base anche alla loro disponibilita' e presenza fisica presso la postazione di lavoro. Si tratta cioe' - lo si ribadisce - di un sistema automatizzato per la generazione delle chiamate dirette agli abbonati telefonici, che consente di mantenere in uno stato di attesa le telefonate che hanno gia' ricevuto risposta da un destinatario fino al momento in cui un operatore di call center si rende disponibile. Una scelta che mira, con tutta evidenza, ad ottimizzare l'efficienza del call center, attuando un trasferimento dei costi di attesa rispetto ai sistemi non automatizzati di generazione delle chiamate. Mentre, infatti, in questi ultimi il costo di attesa e' interamente sostenuto dal chiamante, che non puo' prevedere se la telefonata andra' a buon fine, in quelli automatizzati il relativo onere puo' essere trasferito sul destinatario della chiamata ogniqualvolta l'utente risponda senza tuttavia trovare un interlocutore all'altro capo del filo; al pari e' sull'utente che grava l'alea connessa al possibile verificarsi dell'ipotesi di cui ci si occupa, e cioe' che nonostante l'attesa, e nonostante il soggetto interessato sia gia' in linea, la chiamata non venga in realta' inoltrata ad alcun operatore, essendo in quel momento tutti non disponibili; fino a quando essa sara' «abbattuta» (dall'utente o dal sistema gestionale del call center). Il sistema procede all'effettuazione delle chiamate secondo uno schema dinamico, e cioe' con adattamenti e correttivi, che tiene conto di diversi indicatori misurati in tempo reale (ad esempio, il numero degli addetti concretamente impegnati nello specifico call center in un dato momento). Si e' avuto inoltre modo di constatare che nonostante esso agisca, nella generalita' dei casi, secondo il descritto schema comune di funzionamento, esistono tuttavia diverse varianti (algoritmi) del modello di riferimento che consentono la modifica dei parametri iniziali fissati di default. Proprio in ragione della scelta degli effettivi parametri da impostare allora, possono verificarsi - e nella specie, per quanto osservato, si verificano - effetti degenerativi del fenomeno, quali ad esempio l'eccessiva frequenza di chiamate «mute» o la reiterazione incontrollata di tentativi di chiamata diretti ad una medesima, specifica utenza. La scelta dell'algoritmo varia in funzione del modello di business adottato dai soggetti coinvolti nell'ambito di una campagna di telemarketing; e' emerso tuttavia che un ruolo chiave e', nella stragrande maggioranza dei casi, attribuito proprio ai call center i quali, in quanto soggetti materialmente esecutori del contatto con l'interessato, sono fortemente orientati all'individuazione e adozione di procedure tecnico-operative che massimizzino l'efficienza economica dei sistemi da essi stessi gestiti. In termini pratici, e' dunque il call center - che dispone a tal fine, lo si e' visto, di diverse possibilita' sulla personalizzazione degli algoritmi - a decidere il numero di potenziali contatti che il sistema e' chiamato ad instaurare e che puo' pertanto richiedere l'effettuazione e l'inoltro di un numero di telefonate anche di molto superiore alla propria capacita' ricettiva e di lavorazione, con l'intento di assicurarsi che i propri operatori, al termine di ciascuna telefonata effettuata, ne abbiano sempre a disposizione una ulteriore, gia' instradata, da prendere in carico ed evitare, cosi', che rimangano inattivi o si ingenerino tempi morti. Cio', anche in considerazione del fatto che non tutti i tentativi di chiamate effettuati dal sistema vanno, statisticamente, a buon fine, dal momento che il destinatario potrebbe, ovviamente, non rispondere, essere impegnato in altra conversazione, essere assente, disporre di una segreteria telefonica o di un risponditore telefax etc. Anche per tale ragione, allora, e cioe' per evitare che sugli operatori di telemarketing gravino le ripercussioni, in termini di inattivita' e dunque inefficienza, di eventuali eventi ostativi all'instaurazione ed all'andata a buon fine del tentativo di contatto, il sistema e' tecnicamente predisposto per consentire al call center di effettuare le scelte, predisponendo ed impostando l'algoritmo ritenuto piu' funzionale al conseguimento degli obiettivi prefissati. In altri termini, il call center puo' decidere di affidarsi ad un criterio di predizione su base statistica determinato dalla scelta dei parametri concretamente effettuata, nel rispetto del quale il sistema inoltrera' piu' telefonate di quante gli operatori riescano a lavorarne. L'effetto, piu' o meno calcolato, e' proprio quello che non per ogni chiamata ci sara' un operatore disponibile e pertanto in tali ipotesi il destinatario della comunicazione ricevera' una telefonata «muta», la quale peraltro, non avendo conseguito lo scopo di mettere in contatto i due interlocutori, e' potenzialmente reiterabile, in funzione della politica di richiamata (policy di recall) autonomamente adottata. Le indagini condotte dall'Autorita' hanno evidenziato inoltre che non sempre una chiamata che l'interessato nella segnalazione aveva definito «muta», risultava tale anche sulla base dei report delle chiamate effettuate, nella disponibilita' del call center, visionati dal Garante nel corso degli accertamenti ispettivi. A fronte, cioe', di una perfetta coincidenza in relazione all'evento (una telefonata risultava realmente effettuata in un giorno e a un'ora determinati, da una specifica utenza in uso al call center e diretta verso il numero del segnalante), non sempre e' stata riscontrata una pari, perfetta coincidenza anche nella classificazione degli esiti di quell'evento. Una chiamata «muta» nel resoconto del segnalante poteva, cioe', corrispondere invece, ad esempio, nei report del call center, ad una chiamata verso un numero occupato. Si tratta di un problema di assoluto rilievo, dal momento che l'effetto piu' immediato di possibili disallineamenti nella classificazione degli esiti delle varie tipologie di chiamate e', con tutta evidenza, l'impossibilita' di pervenire ad una misurazione oggettiva di alcuni, fondamentali, dati indicatori del fenomeno (ad esempio, l'occorrenza e la frequenza delle chiamate in questione). L'obiettiva rilevanza del problema, il suo manifestarsi presso piu' call center tra quelli oggetto di accertamento e il numero non trascurabile dei casi, selezionati a campione, nei quali esso e' stato riscontrato, rendono verosimile l'ipotesi che le difformita' rilevate siano imputabili a disallineamenti nella codifica del medesimo evento da parte dei soggetti che, a titolo diverso, intervengono nel relativo processo. Nelle operazioni di classificazione intervengono infatti almeno due distinti soggetti, i quali agiscono in modo indipendente l'uno dall'altro: l'operatore di rete pubblica che gestisce la centrale telefonica presso cui e' attestata la linea dell'interessato e il call center che effettua le chiamate promozionali e dispone di sistemi propri per la gestione delle chiamate, interconnessi con la rete telefonica. Il primo genera un codice per ciascun possibile esito delle chiamate secondo criteri di codifica standardizzati e riconosciuti a livello internazionale e poi lo trasmette al call center. Quest'ultimo, tuttavia, nel riceverlo e interpretarlo non segue alcun criterio prestabilito valevole come standard e pertanto non si puo' escludere che, pur senza colpa ne' dolo, attribuisca al codice ricevuto un significato diverso da quello originario, interpretando cosi' un determinato evento in maniera inesatta e dunque incidendo significativamente - lo si e' anticipato - sulla necessaria affidabilita' della misurazione del fenomeno relativo alle chiamate «mute». In termini concreti, lo si ribadisce, puo' accadere che una chiamata «muta» (che, pertanto, ha ricevuto risposta dall'interessato) venga invece letta dal sistema di reportistica del call center in altro modo (ad esempio, come una chiamata in stato di «occupato» ovvero abbattuta da centrale per ragioni di natura tecnica). Al riguardo, e' opportuno muovere da una fondamentale distinzione di base, ai sensi della quale una chiamata e' «andata a buon fine» quando riceve risposta dall'interessato e comporta generalmente un addebito per il chiamante; e' invece «muta» quando, pur avendo ricevuto risposta e dunque essendo andata a buon fine, non e' tuttavia disponibile un operatore del call center prima che il chiamato ovvero il sistema di gestione in dotazione al call center l'abbiano abbattuta. Se ne deduce che le chiamate «mute» costituiscono necessariamente una species del genus «andate a buon fine» e che pertanto esse possono determinarsi soltanto all'interno, appunto, di tale categoria, cui peraltro possono appartenere anche altre tipologie di telefonate (ad esempio, quelle che ricevono risposta da dispositivi quali fax o segreterie telefoniche). Poiche' l'avvenuto intervento dell'operatore nella telefonata «andata a buon fine» e' circostanza che il call center ha la possibilita' e prima ancora l'interesse economico di accertare agevolmente ed autonomamente, risulta opportuno che l'attenzione dell'Autorita' si soffermi sulle misure necessarie per garantire quell'uniformita' di codifica degli esiti delle chiamate che potrebbe difettare nel rapporto o, piu' precisamente, nella comunicazione che intercorre tra l'operatore di rete pubblica ed il call center, e di cui si e' detto in precedenza. Considerato inoltre che le possibili cause che determinano chiamate «mute», come piu' sopra identificate, specie se asseritamente riconducibili a generiche ragioni di natura tecnica (per stare all'esempio, disconnessioni attuate dalla centrale pubblica) sono eventi rari, statisticamente non rilevanti e tali da non contribuire in alcun modo alla stima dell'incidenza del fenomeno, queste non potranno essere prese in considerazione come concause determinanti rispetto alle soglie percentuali di tolleranza che saranno individuate nel prosieguo. Un ulteriore effetto distorsivo nella valutazione del fenomeno in discussione puo' essere indotto dalla determinazione del periodo temporale entro il quale si stabilisce di misurare la frequenza e dunque l'incidenza delle chiamate «mute». Riscontrare infatti una limitata frequenza di chiamate «mute» all'interno di periodi di riferimento «lunghi», non esclude che in specifici sottoperiodi la loro frequenza relativa possa invece essere superiore alla media, talvolta anche significativamente. Anche in analogia con le decisioni adottate in altri paesi, occorre pertanto che la misurazione della rilevanza quantitativa del fenomeno venga effettuata sulla base del rapporto matematico esistente tra le chiamate «mute» e quelle «andate a buon fine», e che questo rapporto sia parametrato con specifico riferimento ad ogni singola campagna di telemarketing (si' da impedire che una percentuale elevata di chiamate «mute» sia realizzata nel corso di una sola campagna prescelta dal call center e poi, per cosi' dire, «riequilibrata» avvalendosi del criterio della media matematica da rilevarsi su un numero esteso di campagne). Per le medesime ragioni, e' inoltre necessario che venga anche predeterminato il periodo temporale di riferimento per la misurazione. Si tratta, in definitiva, di attuare un sostanziale, delicato e necessario bilanciamento di interessi tra la doverosa tutela dei diritti degli interessati, le ragioni dell'efficienza imprenditoriale ed occupazionale degli operatori di settore e le risultanze dello sviluppo tecnologico applicato al telemarketing; di disciplinare, dunque, per renderle lecite e corrette e cioe' conformi alla disposizione di cui all'art. 11 del Codice, le modalita' di effettuazione del trattamento di dati personali dei destinatari delle iniziative di telemarketing fornendo idonee prescrizioni tese innanzitutto a misurare, poi ad evitare o, almeno, ricondurre in un ambito di sostanziale, ragionevole tollerabilita' il prodursi di eventi di disturbo quali le chiamate "mute"; cio' tenuto anche conto dell'attuale, totale assenza di disciplina in materia, che consente alla misura definita "fisiologica" del fenomeno di degenerare in inaccettabile patologia. Tenuto conto, altresi', che nella valutazione, che compete al Garante, relativa al rispetto dei suddetti requisiti di liceita' e correttezza delle modalita' di effettuazione del trattamento, ciascuna singola prescrizione e' stata frutto di attenta ponderazione dei molteplici aspetti del tema in discussione. Tutto cio' premesso, il Garante ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. b) e 154, comma 1, lett. c), del Codice, prescrive a tutti i titolari che determinano le modalita' del trattamento dei dati personali dei destinatari di iniziative di carattere commerciale per mezzo del telefono l'adozione, direttamente ovvero per il tramite dei propri responsabili cui dovranno essere impartite adeguate istruzioni, di tutte le misure necessarie ed opportune, anche di carattere tecnico, atte a garantire che tale trattamento si svolga secondo modalita' conformi ai principi di correttezza di cui all'art. 11 del Codice. Segnatamente, con specifico riguardo all'effettuazione di chiamate «mute»: 1) i call center, nel recepire nei propri sistemi interconnessi con la rete pubblica i codici che individuano gli esiti delle chiamate trasmessi dalle centrali pubbliche, devono individuare una classe all'interno della quale censire tutte e sole le chiamate «andate a buon fine»; questo insieme deve essere ulteriormente suddiviso in altre due sottocategorie: la prima, che e' possibile denominare come «classe A», che identifica le chiamate «mute», ed in cui far confluire le telefonate che non abbiano ricevuto risposta dall'operatore del call center entro il tempo di 3 secondi, oltre il quale la chiamata dovra' essere "abbattuta" dal sistema; ritenuta congrua tale soglia in considerazione del fatto che il requisito di interattivita' di una conversazione telefonica e' garantito fino al raggiungimento, appunto, del limite come indicato; la seconda sottocategoria, che e' possibile denominare come «classe B», all'interno della quale far confluire tutte le residue tipologie di chiamate «andate a buon fine»; 2) la percentuale media di chiamate «mute» consentita (denominata P), calcolata secondo il rapporto matematico sussistente tra il numero di eventi appartenenti alla «classe A» (indicati con NA ) e la somma di tali eventi e di quelli appartenenti alla «classe B» (indicati con NB ), secondo la distinzione in classi introdotta al punto 1, deve essere in ogni caso non superiore al 3%. In termini concreti, la percentuale media consentita sara' calcolata sulla base del seguente rapporto: P = NA / (NA +NB ) Tale percentuale deve inoltre essere misurata in relazione ad ogni singola campagna di telemarketing la quale dovra' essere contrassegnata da un identificativo unico e comunque la misurazione, che decorre dall'inizio della campagna stessa, deve essere rinnovata al termine di un periodo temporale non superiore in ogni caso a 10 giorni; ritenuto congruo, tale periodo, anche all'esito di un opportuno bilanciamento di interessi tra le ragioni, gia' indicate, che impongono misurazioni in tempi non lunghi e quelle connesse all'operativita' del call center. Con l'effetto che se la durata della campagna e' superiore a 10 giorni, la misurazione sara' effettuata sui primi dieci giorni e successivamente reiterata ad ogni multiplo ovvero porzione di dieci giorni, fino al termine della campagna stessa. Comunque, per limitare la variabilita' e l'oscillazione tra valori percentuali con possibili picchi di chiamate mute ben superiori alla soglia indicata, la percentuale media giornaliera di chiamate mute, come misurate in precedenza, non potra' in ogni caso superare la soglia del 4%; 3) i titolari, agendo direttamente ovvero fornendo adeguate istruzioni ai propri responsabili, sono tenuti all'adozione di un accorgimento tecnico denominato comfort noise. Si tratta della trasmissione, da parte del call center all'utente chiamato, di una traccia audio preregistrata che riproduce un rumore ambientale sintetico. In pratica, per ogni chiamata andata a buon fine in relazione alla quale non sia disponibile un operatore del call center, il sistema di gestione delle chiamate deve garantire che il menzionato rumore di sottofondo prenda immediatamente - e cioe' nel momento stesso in cui l'interessato solleva il ricevitore - il luogo dell'operatore stesso, attenuando cosi' l'effetto chiamata «muta» e limitando l'inquietudine e l'allarme dell'interessato. Il comfort noise deve, infatti, essere congegnato in modo da dare la sensazione di provenire da un ambiente lavorativo (ad es. con voci di sottofondo, squilli di telefono, brusio etc.), di modo che l'utente chiamato, ancorche' non messo in contatto con l'operatore, abbia comunque la sensazione che la telefonata ricevuta provenga da un call center e possa cosi' escludere ogni ipotesi malevola sulle intenzioni dello sconosciuto chiamante; 4) a seguito di una telefonata «muta», deve essere preclusa la possibilita' di richiamare quella specifica utenza per un intervallo non inferiore a cinque giorni, ritenuto congruo tale periodo anche perche' commisurato sia al periodo (quindicinale) di utilizzabilita' delle liste di dati provenienti dagli elenchi telefonici a seguito del riscontro presso il Registro pubblico delle opposizioni, sia alla durata media delle campagne di telemarketing, generalmente pari a 30-60 giorni, come stimata a seguito degli accertamenti del Garante. Inoltre il successivo riuso del numero deve avvenire in modo da assicurare il ricorso ad un sistema prioritario di instradamento della chiamata, tale che sia sempre garantita la presenza di un operatore disponibile prima che essa venga effettuata; 5) i call center sono tenuti a conservare i report statistici delle percentuali di telefonate «mute» effettuate per ciascuna campagna, come determinate al punto 2), e dunque comprensivi dei codici unici identificativi di ogni singola campagna di telemarketing, per un periodo non inferiore a due anni, si' da consentire gli eventuali controlli e riscontri ritenuti opportuni; 6) il termine massimo per l'adozione delle misure previste ai precedenti punti da 1) a 5) e' di 180 giorni che decorrono dalla pubblicazione della presente decisione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Con specifico riguardo ai profili relativi all'effettuazione di chiamate mute, il presente provvedimento a carattere generale integra e sostituisce, per quanto di ragione, quello n. 474 del 6 dicembre 2011 (doc. web n. 1857326) adottato nei confronti di Enel Energia S.p.A. e Reitek S.p.A., di cui in premessa. Avverso il presente provvedimento puo' essere proposta opposizione ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 del decreto legislativo n. 150/2011 con ricorso dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria, in particolare al tribunale del luogo ove risiede il titolare del trattamento, da presentarsi entro il termine di trenta giorni dalla data della sua comunicazione ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero. Si dispone la trasmissione di copia del presente provvedimento al Ministero della giustizia-Ufficio pubblicazione leggi e decreti, per la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 20 febbraio 2014 Il Presidente e relatore: Soro Il Segretario generale: Busia


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 Il diritto all'oblio, questo sconosciuto.

18/2/2014

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Cosa è il diritto all'oblio ?
Indubbiamente quando l’informazione era solo cartacea appariva complicato rispolverare informazioni vecchie sulle persone sommerse sotto chili di copie di giornali negli archivi delle redazioni. Cosa diversa si presenta con l’avvento di internet dei giornli on-line e di quell’immenso archivio planetario rappresentato da Google e dagli altri motori di ricerca.

Dentro questo archivio si esiste praticamente per sempre.

Ecco la insorgenza del diritto all’oblio che viene disegnato con una interessante sentenza del Tribunale di Milano (n. 5820/2013, pubblicata il 26.4.2013) che offre lo spunto per una panoramica dello stato dell’arte nella giurisprudenza nazionale.

Com’è noto, la maggioranza dei grandi quotidiani, una volta varata l’edizione digitale, ha ben presto digitalizzato il proprio archivio storico cartaceo rendendolo disponibile al pubblico on-line.

Il vecchio articolo, che una volta era confinato in polverosi archivi visitati da pochi specialisti, oggi è a disposizione di tutti e 24 ore su 24 in Internet.

Non si tratta “solo” di ricerca sui motori dedicati messi a disposizione sul sito delle varie testate. Solo una ricerca finalizzata consentirebbe l’approdo ad articoli risalenti.

Ma quando un articolo è automaticamente indicizzato da Google e analoghi motori “generalisti”,  è restituito ad ogni ricerca anche casuale fatta utilizzando come chiave il nome delle persone che vi sono citate.

È così che individui protagonisti o comprimari di cronache del passato, ad anni o decenni di distanza, ritrovano il proprio nome in rete permanentemente associato a vicende remote, anche quando ormai quelle non riflettono più la loro attualità.

In questa, come in ogni altra questione giuridica, si contrappongono e devono essere bilanciati diversi interessi: l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, che aveva a suo tempo legittimato la pubblicazione dell’articolo originario; il diritto di libera ricerca storica, che consente la disponibilità pubblica di archivi completi; e, appunto, il diritto all’oblio.

Quest’ultimo è stato costruito dalla giurisprudenza, nel diritto a non vedersi pubblicamente rappresentati in maniera non o non più corrispondente a quella attuale

Per anni, di questioni come quelle sopra descritte si è occupato soprattutto il Garante dei dati personali, che ha in molti casi indicato una soluzione al problema nella semplice de-indicizzazione dell’articolo dai motori di ricerca compiuta direttamente dal titolare del cosiddetto sito sorgente.

Ma sul punto è intervenuta anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 5525/2012.

Il caso discusso davanti alla Suprema Corte riguardava una persona nota che aveva chiesto senza successo al Garante prima, e all’autorità giudiziaria poi, di ordinare a un editore l’aggiornamento di un vecchio articolo che riferiva di un suo arresto, senza ovviamente dare conto del suo successivo proscioglimento da ogni accusa.

La Corte Suprema è stata di avviso totalmente diverso.

Essa ha riconosciuto espressamente l’esistenza di un diritto all’oblio, inteso nel senso di diritto alla tutela della propria (attuale) identità personale e morale nella sua proiezione sociale.

Ha rimarcato la differenza tra un archivio in senso tradizionale e la rete, dove tutte le notizie sono presentate in maniera decontestualizzata.

Ha osservato che se la finalità di documentazione storica può legittimare, dal punto di vista del Codice della privacy, la conservazione e pubblica accessibilità dell’articolo che riporta una determinata notizia e la persistente identificabilità del protagonista, è però coerente con questa finalità, e al tempo stesso rispettoso del diritto all’oblio, che la notizia sia aggiornata e contestualizzata, o cancellata dall’archivio, se non risponde più a verità.

Quasi di passaggio, la Corte ha peraltro rilevato che il fornitore del servizio di motore di ricerca non avesse alcun ruolo o responsabilità nella vicenda, spettanti invece al responsabile del sito sorgente, e rigettando così una delle difese dell’editore, che aveva sostenuto il proprio difetto di legittimazione passiva in favore di Google.

Ma anche i giudici ordinari hanno preso nota.

Ed è, infatti, in parte “figlia” della decisione della Suprema Corte è anche la sentenza milanese.

Qui si lamentava la perdurante presenza in rete di un articolo datato in cui lo si descriveva come usuraio ed evasore e si lamentava, oltre che la diffamazione, la violazione del proprio diritto all’oblio.

Il giudice milanese ha riconosciuto la lesione del diritto all’oblio, ritenuto prevalente su ogni altro ipotetico interesse. In particolare, ha osservato che difettava il requisito dell’interesse pubblico alla loro permanente conoscenza, dato il lasso di tempo trascorso dalla vicenda e la carenza di un qualche ruolo di rilevo pubblico dell’attore.

Ha dunque ordinato la rimozione dell’articolo dall’archivio telematico del giornale, consentendo solo la tenuta di una copia cartacea, e condannato l’editore al risarcimento del danno morale.


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