Studio Legale Associato Carugno & Cimarelli
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Diffamazione e ingiuria. Cosa cambia. Le modifiche approvate alla Camera approdano al Senato.

20/6/2014

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Col n.1119 approda alla Commissione Giustizia del Senato il Disegno di Legge di modifica dei reati di ingiuria e diffamaziome, con particolare riguardo alla ipotesi se commessi col mezzo della stampa.
Innanzitutto viene sciolto un nodo che creava lacune alle quali spesso doveva sopperire il Giudice di Legittimita in sede interpretativa.
Il riconoscimento, ai fini della qualificazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, di testata giornalistica viene esteso in maniera chiara sia alle emittenti radiotelevisive che ai giornali  on line operanti sul web. (Art.1)

All' art. 2  le variazioni significative.
Scompare la pena detentiva dalle previsioni base nel Codice Penale dei due  reati.
Viene ridisegnata e perimetrata la responsabilita' oggettiva dei direttori delle testate giornalistiche.
Viene rimodulato in forma piu stringente l'obbligo delle rettifiche.
Viene codificato il regime del risarcimento del danno.

segue il testo del disegno di legge

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47)

1. All'articolo 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive».

2. All'articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «fare inserire gratuitamente» sono sostituite dalle seguenti: «pubblicare gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo, con la seguente indicazione: "Rettifica dell'articolo [TITOLO] del [DATA] a firma di [AUTORE]",»; dopo le parole: «nell'agenzia di stampa» sono inserite le seguenti: «o nella testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni,» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a informare l'autore dell'articolo o del servizio, ove sia firmato, della richiesta di rettifica»;

b) al secondo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per le testate giornalistiche on lineregistrate ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre due giorni dalla ricezione della richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono, nonché in testa alla pagina dell'articolo contenente la notizia cui si riferiscono, senza modificarne la URL, e con caratteristiche grafiche che rendano evidente l'avvenuta modifica»;

c) dopo il terzo comma è inserito il seguente:

«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell'articolo 32-quinquies del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177»;

d) dopo il quarto comma è inserito il seguente:

«Per la stampa non periodica, l'autore dello scritto ovvero i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale provvedono, in caso di ristampa o nuova diffusione, anche in versione elettronica, e, in ogni caso, nel proprio sito internet ufficiale, alla pubblicazione delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti fatti o atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata nel sito internet e nelle nuove pubblicazioni elettroniche entro due giorni dalla richiesta e nella prima ristampa utile con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l'ha determinata»;

e) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto e sesto comma», le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma» e le parole: «al pretore» sono sostituite dalle seguenti: «al giudice»;

f) dopo il quinto comma è inserito il seguente:

«Della stessa procedura può avvalersi l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, ovvero il responsabile della trasmissione radiofonica o televisiva non pubblichi la smentita o la rettifica richiesta. Nel caso di richiesta dell'autore, il direttore o comunque il responsabile è obbligato a pubblicare o ad effettuare la dichiarazione o la rettifica ai sensi del presente articolo»;

g) al sesto comma, le parole: «da lire 15.000.000 a lire 25.000.000» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 8.000 a euro 16.000».

3. Dopo l'articolo 11 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è inserito il seguente:

«Art. 11-bis. - (Risarcimento del danno). -- 1. Nella determinazione del danno derivante da diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, il giudice tiene conto della diffusione quantitativa e della rilevanza nazionale o locale del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato, della gravità dell'offesa, nonché dell'effetto riparatorio della pubblicazione e della diffusione della rettifica.

2. Nei casi previsti dalla presente legge, l'azione civile per il risarcimento del danno alla reputazione si prescrive in due anni dalla pubblicazione».

4. L'articolo 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è abrogato.

5. L'articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è sostituito dal seguente:

«Art. 13. - (Pene per la diffamazione). -- 1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 5.000 euro a 10.000 euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena della multa da 20.000 euro a 60.000 euro.

2. Alla condanna per il delitto di cui al comma 1 consegue la pena accessoria della pubblicazione della sentenza nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale e, nell'ipotesi di cui all'articolo 99, secondo comma, numero 1), del medesimo codice, la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da un mese a sei mesi.

3. Le stesse pene di cui al comma 1 si applicano anche al direttore o al vicedirettore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 che, a seguito di richiesta dell'autore della pubblicazione, abbia rifiutato di pubblicare le dichiarazioni o le rettifiche secondo le modalità definite dall'articolo 8.

4. L'autore dell'offesa nonché il direttore responsabile della testata giornalistica, anche on line, registrata ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e i soggetti di cui all'articolo 57-bis del codice penale non sono punibili se, con le modalità previste dall'articolo 8 della presente legge, anche spontaneamente, siano state pubblicate o diffuse dichiarazioni o rettifiche.

5. Nel dichiarare la non punibilità, il giudice valuta la rispondenza della rettifica ai requisiti di legge.

6. Con la sentenza di condanna il giudice dispone la trasmissione degli atti al competente ordine professionale per le determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.

7. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 596 e 597 del codice penale».

6. All'articolo 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Per il delitto di diffamazione commesso mediante comunicazione telematica è competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa».

Art. 2.

(Modifiche al codice penale)

1. L'articolo 57 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 57. - (Reati commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione). -- Fatta salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione, e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, risponde dei delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo. Non si applica la pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista. Il direttore o il vicedirettore responsabile di cui al primo periodo, in relazione alle dimensioni organizzative e alla diffusione del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, può delegare, con atto scritto avente data certa e accettato dal delegato, le funzioni di controllo a uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di vigilanza di cui al primo periodo».

2. L'articolo 594 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 594. - (Ingiuria). -- Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la multa fino a euro 5.000.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, telefonica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà qualora l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato ovvero sia commessa in presenza di più persone».

3. L'articolo 595 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Art. 595. - (Diffamazione). -- Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 594, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la multa da euro 3.000 a euro 10.000.

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della multa fino a euro 15.000.

Se l'offesa è arrecata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, in via telematica ovvero in atto pubblico, la pena è aumentata della metà».

Art. 3.

(Modifica all'articolo 427del codice di procedura penale)

1. Dopo il comma 3 dell'articolo 427 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

«3-bis. Il giudice può altresì condannare il querelante al pagamento di una somma da 1.000 euro a 10.000 euro in favore della cassa delle ammende».

Art. 4.

(Modifica all'articolo 200 del codice di procedura penale)

1. Il comma 3 dell'articolo 200 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

«3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti e pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia, se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista professionista o pubblicista di indicare la fonte delle sue informazioni».


vai alla pagina web del ddl in senato
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Cassazione. Ai blog va esteso un diritto simile al diritto di cronaca anche in caso di espressioni offensive.

7/5/2014

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Ad un blog vanno estese le stesse garanzie applicate agli organi di informazione.
Questa e' la conclusione cui perviene la Cassazione con la sentenza 11895 del 2014 con la quale e' stato cassato un sequestro penale di un sito web destinato a blog nel quale erano stati inseriti commenti offensivi.
Al blog va riconosciuta la liberta' di manifestazione del pensiero e la censura su espressioni offensive e' mitigata dal diritto di cronaca.
Si leggano sul tema i punti 5 e 5.1 della sentenza riportata qui appresso.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 30 ottobre 2013 – 12 marzo 2014, n. 11895

(Presidente Dubolino – Relatore Lignola)

Ritenuto in fatto 

1. Con decreto del 6 aprile 2013, il G.I.P. presso il Tribunale di Udine disponeva il sequestro preventivo del sito internet www.ilperbenista.it, gestito da B.M., indagato per il reato di cui all'art. 595, commi 1 e 3, ai danni di B.M. e B.F. L'indagato era accusato di aver pubblicato sul sito suddetto messaggi e commenti che, con il pretesto di una critica politica, scivolavano sul terreno della gratuità volgarità e dell'attacco personale, ad esempio definendo la B. una "zoccola di Tondo" e parlando di una radiazione dall'albo professionale o di una sospensione biennale del B., a fronte di un provvedimento interdittivo di durata molto inferiore.

2. Il Tribunale per il riesame di Udine, con ordinanza del 14 maggio 2013, confermava il provvedimento di sequestro, osservando che il sito è stato lo strumento attraverso il quale i messaggi diffamatori sono stati diffusi e che ben potrebbe, anche in futuro, essere utilizzato al medesimo scopo, sicché riteneva il vincolo imposto "pienamente adeguato e congruo".

3. Con ricorso sottoscritto personalmente, l'indagato censura il provvedimento del Tribunale del riesame, deducendo tre motivi.

3.1 Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, lettera B e C, in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen., per mancanza di motivazione in ordine al fumus commissi delicti. Il ricorrente ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, tale motivazione non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo stato sostenibile l'impostazione accusatoria; sotto questo profilo egli deduce omesso esame degli elementi dedotti in sede di riesame, volti ad escludere la sussistenza dell'elemento oggettivo ed soggettivo del reato.

3.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, lettera B e C, in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen., per mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari: egli rileva che il Tribunale si limita a richiamare una generica ed astratta possibilità di reiterazione del reato.

3.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, lettera B e C, in relazione agli articoli 125 e 321 cod. proc. pen., 21 della Costituzione, 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in considerazione della eccessività della misura cautelare, rispetto alla violazione contestata. A giudizio del ricorrente, l'oscuramento dell'intero sito è una misura di eccezionale gravità, che si estende ben oltre l'effettiva necessità, potendosi il provvedimento cautelare limitare ai singoli post che si assumono diffamatori; facendo un parallelismo con il mezzo della stampa, il ricorrente paragona la misura preventiva adottata al sequestro delle rotative di un giornale, dei computer della redazione, dei locali della testata, in luogo del sequestro della copia del giornale che contenga l'articolo diffamatorio.

Il ricorrente deduce altresì vizio motivazionale, poiché il provvedimento impugnato non affronta le deduzioni difensive con le quali si prospettava la cancellazione dei soli post attinenti l'argomento che coinvolgevano i querelanti e si escludeva il pericolo di reiterazione del reato. 

Considerato in diritto

 1. Il ricorso è fondato.

1.1 Il ricorrente deduce che il Tribunale non si è fatto carico di rispondere ai rilievi sulla insussistenza del reato di diffamazione, contestato al B., quale moderatore del blog e quale autore di alcuni commenti alle notizie, finalizzati ad avviare ed alimentare le discussioni; nella memoria depositata in sede di riesame si era osservato che non esiste alcuna norma che imponga al gestore di un blog di controllare o cancellare i post asseritamente diffamatori, dovendosi ritenere responsabili del reato esclusivamente i singoli autori; né si poteva affermare un concorso morale dell'indagato per il solo fatto di aver partecipato alla discussione, sia pure con messaggi non diffamatori. Il blog "il perbenista", secondo quanto si legge nella memoria, è noto per l'attenzione alle storture ed agli eccessi del sistema politico ed economico locale e nazionale e per la critica, spesso serrata e stringente, con toni anche forti, agli abusi che in tale ambito vengono commessi.

1.2 Anche con riferimento all'esigenza cautelare, si segnalava il difetto di motivazione, oltre che l'insussistenza del pericolo di reiterazione del reato di diffamazione, considerato il tempo trascorso dall'inserimento dei messaggi (due anni), il gran numero di notizie analoghe nel web, riguardanti i querelanti, il posto assunto nel sito dalle parole incriminate (per la visualizzazione dei contenuti in ordine cronologico, che rende sostanzialmente inaccessibili quei post agli utenti) e l'assenza di una richiesta tempestiva di cancellazione.

1.3 Si sottoponeva infine all'attenzione del Tribunale del riesame l'evidente eccessività del provvedimento di sequestro preventivo, in un'ottica di bilanciamento con il diritto di manifestazione dei pensiero non connesso al reato contestato, poiché l'oscuramento dell'intero sito, e non dei soli commenti ritenuti diffamatori, sfinisce per sfociare palesemente in una indiscriminata censura ed in un inammissibile compressione dei diritti che attraverso tale strumento vengono legittimamente esercitati.

2. Orbene, a prescindere dal fatto che andava anzitutto puntualizzata l'ipotesi accusatoria, si rileva che il Tribunale non si è fatto effettivamente carico di rispondere ai rilievi della difesa, che contestava la sussistenza sia del fumus che del periculum in mora.

Come afferma il ricorrente, è effettivamente vero che i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità - che questo Collegio ritiene di dover condividere - sono nel senso che nella verifica dei presupposti per l'emanazione del sequestro preventivo di cui all'art. 321 cod. proc. pen., comma 1, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma, valutando il "fumus commissi delicti", deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (Sez. 3, n. 26197 dei 05/05/2010, Bressan, Rv. 247694; Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Vecchione, Rv. 253508), pur non occorrendo la sussistenza d'indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato. La circostanza che restano preclusi per il giudice del riesame delle cautele reali sia l'accertamento sul merito dell'azione penale, sia il previo sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa - non essendo richiesto il presupposto della gravità indiziaria - non può esimere il Tribunale dall'indicazione sia pure sommaria delle ragioni che rendono allo stato sostenibile l'impostazione accusatoria.

Diversamente, infatti, il controllo giurisdizionale della base fattuale nel singolo caso concreto si appaleserebbe meramente cartolare e formale.

Ed è certamente vizio di violazione di legge quello connesso alla questione dell'esistenza di elementi idonei a sostenere la prospettazione accusatoria, come presupposto ineludibile per l'emanazione del sequestro preventivo (Sez. 5, n. 37695 del 15/07/2008, Cecchi Gori, Rv. 241632).

Ciò significa, ovviamente, che non è sufficiente, ai fini dell'individuazione del fumus commissi delicti, la mera "postulazione" da parte del pubblico ministero dell'esistenza del reato, perché il giudice del riesame, nella sua pronuncia, deve comunque rappresentare, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare, nella motivazione del suo provvedimento, la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro condotta ai suo esame e l'esistenza di un vincolo chiaro ed univoco tra la cosa ed il reato per cui si procede.

3. Tale compito non risulta essere stato svolto ed è del tutto carente l'approfondimento proprio di questo ultimo aspetto, come del tutto astratta ed ipotetica è l'affermazione della sussistenza del periculum in mora.

3.1 Come è noto il periculum in mora, che ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen. legittima il sequestro preventivo deve essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, e presentare i caratteri della concretezza e della attualità; inoltre è necessario che il bene oggetto della misura abbia un'intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso, ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione, in modo che l'individuato legame non sia meramente occasionale ed episodico (Sez. 5, n. 35394 del 19/09/2011, Ministero Della Giustizia, Rv. 250930).

4. Con riferimento alla possibilità di sequestro preventivo di un sito web, questa Corte ha più volte affermato la piena compatibilità della misura cautelare con il bene immateriale (Sez. 6, n. 30968 del 28/06/2007, Pantano, Rv. 237485; Sez. 3, n. 39354 del 27/09/2007, Bassora, Rv. 237819; Sez. 3, n. 33945 del 04/07/2006, Bracchi Tkachenok, Rv. 234772; più recentemente, Sez. 5, n. 46504 del 19/09/2011, Bogetti, non massimata), non potendo negarsi che ad un sito internet possa attribuirsi una sua "fisicità", ovvero una dimensione materiale e concreta.

4.1 Inoltre si è escluso che il sito internet goda delle stesse tutele assicurate dalla legge al mezzo della stampa, rispetto allo strumento cautelare del sequestro, consentito dall'art. 1 del R.D. 561 dei 1946 (salvo i casi eccezionali delle pubblicazioni o stampati osceni od offensivi della pubblica decenza ovvero di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili, ossia l'ipotesi della stampa clandestina), solo nella forma del sequestro probatorio "di non oltre tre esemplari dei giornali o delle pubblicazioni o stampati, che importino una violazione della legge penale" (Sez. 5, n. 30611 del 12/06/2008, Battei, Rv. 240436; Sez. 5, n. 7319 del 07/12/2007 - dep. 15/02/2008, Longhini, Rv. 239103; Sez. 5, n. 15961 del 24/01/2006, Ferrari, Rv. 234116).

5. Va però considerata la particolarità del caso in cui il sito sottoposto a sequestro contenga un blog (letteralmente contrazione di web-log, ovvero "diario in rete"), termine con il quale si definisce quel particolare tipo di sito web, gestito da uno o più blogger, che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post (concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di giornale), che vengono visualizzati in ordine cronologica, partendo dal più recente, in funzione del loro carattere di attualità. In caso di sequestro di un blog, l'inibitoria che deriva a tutti gli utenti della rete all'accesso ai contenuti del sito è in grado di alterare la natura e la funzione del sequestro preventivo, perché impedisce al blogger la possibilità di esprimersi.

5.1 Va a tal proposito considerato quanto già affermato da questa Sezione (Sez. 5, n. 7155 del 10/01/2011, Barbacetto, in motivazione), rispetto ai casi in cui la misura cautelare reale cada su di un supporto destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni di critica o ancora denunce su aspetti della vita civile di pubblico interesse, quale appunto un blog di libera informazione (oggetto di quella decisione era un sequestro preventivo di un articolo pubblicato su un sito internet, contenente espressioni ritenute lesive dell'onore e del decoro); in casi del genere, infatti, il vincolo non incide solamente sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma sul diritto di libertà di manifestazione del pensiero (cui si ricollegano l'esercizio dell'attività d'informazione, le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica, le denunce civili con qualsiasi mezzo diffuse), che ha dignità pari a quello della libertà individuale e che trova la sua copertura non solo nell'art. 21 della Costituzione, ma anche - in ambito sovranazionale - nell'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nonché nell'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (si veda, tra le ultime decisioni della Corte EDU, Wegrzynowski and Smolczewski v. Poland, Quarta Sezione, sentenza del 16 luglio 2013).

5.2 Un giusto contemperamento di opposti interessi di rilievo primario impone allora che l'imposizione dei vincolo sia giustificata da effettiva necessità e da adeguate ragioni, il che si traduce, in concreto, in una valutazione della possibile riconducibilità dei fatto all'area del penalmente rilevante e delle esigenze impeditive, tanto serie quanto è vasta l'area della tolleranza costituzionalmente imposta per la libertà di parola (Sez. 5, n. 7155 del 10/01/2011, Barbacetto, in motivazione).

6. Nel caso di specie il sito internet è stato oggetto di sequestro solo perché adoperato per commettere diffamazioni (nemmeno da parte dell'indagato, ma di terze persone), ma non vi è alcun elemento da cui desumere una potenzialità offensiva del sito in sè, e quindi l'attualità e concretezza del periculum in mora. Anzi, lo sviluppo di un blog sul dominio internet rappresenta una modalità fisiologica ed ordinaria dell'utilizzo del bene, per cui non si ravvisa alcun elemento da cui poter inferire che vi sia un tale rischio, né potrebbero essere individuati ulteriori elementi da parte del Tribunale del riesame.

7. Per tutte le considerazioni che precedono va disposto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e, conseguentemente, va ordinata la cessazione di efficacia della misura. 

P.Q.M. 

Annulla l'ordinanza impugnata senza rinvio
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Facebook. E' diffamazione pure se si offende senza fare nomi.

4/5/2014

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Cassazione penale , sez. I, sentenza 16.04.2014 n° 16712
Non e' necessario che  su Facebook si faccia il nome di chi si offende per configurare il reato di diffamazione.
Basta infatti che la persona sia identificabile da una serie di riferimenti.
D’altro canto, ai fini dell'integrazione del reato di diffamazione, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa.
Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due.
Ai fini di detta valutazione non può non tenersi conto dell’utilizzazione di un social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti allo stesso corpo militare di appartenenza dell'autore della pubblicazione on line, né la circostanza che in concreto la frase pubblicata sia stata letta soltanto da una persona.




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione Penale
Sentenza 22 gennaio - 16 aprile 2014 - n. 16712

(Presidente Siotto – Relatore Posta)

1. Con sentenza del 21.2.2012 il Tribunale militare di Roma condannava F.S., con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravati contestate, alla pena di mesi tre di reclusione militare, con i doppi benefici, per il reato di diffamazione pluriaggravata perché, nella qualità di maresciallo capo della Guardia di finanza della compagnia di San Miniato, pubblicava sul social network «facebook» nei dati personali del proprio profilo la frase «...attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo...ma me ne fotto ... per vendetta appena ho due minuti gli trombo la moglie», offendendo in tal modo la reputazione del maresciallo U.M., designato in sua sostituzione al comando della compagnia di San Miniato.

La Corte militare di appello in data 28.11.2012 riformando la predetta sentenza assolveva il S. per insussistenza del fatto. In specie, ha affermato che la identificazione della persona offesa risultava possibile soltanto da parte di una ristretta cerchia di soggetti rispetto alla generalità degli utenti del social network, non avendo l’imputato indicato il nome del suo successore, né la funzione di comando in cui era stato sostituito, né alcun riferimento cronologico; pertanto, manca la prova che il S. abbia intenzionalmente comunicato con più persone in grado di individuare in modo univoco il destinatario delle espressioni diffamatorie.

2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte militare di appello che, con un unico motivo, denuncia la violazione di legge ed il vizio della motivazione.

Rileva, in primo luogo, che l’offesa alla reputazione rilevante ai fini della diffamazione prescinde dalle conseguenze che possono derivare o siano in concreto derivate all’interessato. Ciò che rileva, quindi, è soltanto l’uso di frasi offensive - quale è nella specie anche l’espressione volgare riferita alla moglie dell’interessato - e la circostanza che, come affermato dalla giurisprudenza, la pubblicazione su internet di per sè ne abbia determinato la conoscenza da parte di più persone, a nulla rilevando se in concreto siano state lette.

La motivazione della sentenza impugnata, quindi, è illogica e contraddittoria rispetto a quanto affermato dalla stessa Corte di appello in ordine alla natura di mezzo di pubblicità del social network cui ha accesso con la sola registrazione una molteplicità di soggetti indeterminati e non può essere desunta la prova contraria dalle dichiarazioni dei testimoni della difesa.

Quanto alla univoca individuazione della persona oggetto delle frasi diffamatorie, il ricorrente afferma che così come era avvenuto per il brigadiere L. qualsiasi altra persona, anche non appartenente alla guardia di finanza ma solitamente in contatto con l’imputato o col m.llo U., avrebbe potuto individuarla. Rilevante sotto tale profilo deve ritenersi l’avverbio usato «attualmente», che indiscutibilmente si riferisce al presente, con il quale, quindi, il S. aveva fatto riferimento ad un evento avvenuto in epoca prossima alla comunicazione sul social network e che contraddice quanto affermato dalla Corte di appello in ordine alla mancanza di indicazioni cronologiche. Ulteriore elemento di identificazione è la qualificazione di «collega» evidentemente di pari grado, stante l’avvenuta «defenestrazione» per sua causa, ed «ammogliato». Evidenzia, quindi, il ricorrente che l’affermazione che la identificazione certa dell’offeso fosse limitata ad un gruppo ristretto di persone costituito da quelle in possesso delle notizie ulteriori, è irrilevante e superflua, atteso che tutte le notizie inserite nel social network non posso che riferirsi ad una cerchia limitata di utenti di tale mezzo.

Il ricorso del Procuratore generale è fondato nei termini di seguito indicati.

La Corte di appello, invero, ha dato atto che l’imputato non si è limitato ad attribuire al suo successore le qualifiche obiettivamente negative di «raccomandato» e «leccaculo», ma ha collegato tali caratteristiche alla successione del predetto militare nella funzione di comando in precedenza ricoperta dall’imputato. Ha, quindi, ritenuto che il S. ha in modo implicito, ma univoco, affermato che il successore nella sua funzione di comando era subentrato soltanto per dette qualità negative ponendole, quindi, in collegamento funzionale con un fatto concreto e, quindi, determinato.

I giudici di secondo grado hanno, altresì, affermato la sussistenza dell’aggravante dell’utilizzo del mezzo di pubblicità, tenuto conto che la pubblicazione della frase indicata nell’imputazione sul profilo del social network facebook rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network ed anche per le notizie riservate agli «amici» ad una cerchia ampia di soggetti. Peraltro, nella specie, la frase era ampiamente accessibile essendo indicata nel cd. «profilo».

Così che il discorso giustificativo con il quale la Corte di appello ha sostenuto che la individuazione univoca del militare tacciato di essere «raccomandato e leccaculo» fosse possibile soltanto da parte di una ristretta cerchia di soggetti rispetto alla generalità degli utenti del social network ed, in particolare, soltanto dai militari appartenenti alla compagnia della Guardia di finanza di San Miniato, appare contraddittorio con le suddette affermazioni. Del resto, affermare che l’imputato non ha indicato il nome del suo successore, né la funzione di comando in cui era stato sostituito, né alcun riferimento cronologico non sembra tenere conto adeguatamente dell’avverbio «attualmente», che all’evidenza si riferisce al presente, usato nella frase, né della qualificazione di «collega» collegata al termine «defenestrazione».

D’altro canto, ribadito che ai fini della integrazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa (Sez. 5, n. 7410 del 20/12/2010, rv. 249601), i giudici di secondo grado non hanno adeguatamente indicato le ragioni logico-giuridiche per quali il limitato il numero delle persone in grado di identificare il soggetto passivo della frase a contenuto diffamatorio determini l’esclusione della prova della volontà del S. di comunicare con più persone in grado di individuare il soggetto interessato.

Ed invero, il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due. Ed ai fini di detta valutazione non può non tenersi conto dell’utilizzazione del social network - come, del resto la stessa Corte di appello ha evidenziato - a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti alla Guardia di finanza, né la circostanza che in concreto la frase sia stata letta soltanto da una persona.

Conseguentemente, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte militare di appello che dovrà rivalutare la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie contestata al S. alla luce dei suddetti criteri.

Così deciso, il 22 gennaio 2014.
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