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Jobs act. Proviamo a capirne qualcosa.

26/10/2014

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La prima precisazione da fare e' che il Jobs Act e' una legge delega.
Una legge, cioe', che fissa una serie di principi generali nell'ambito dei quali il Governo e' delegato ad emanare uno o piu' decreti legislativi.
In tantissimi tra i commentatori dell'ultima ora attribuiscono al Jobs Act un valore dispositivo ed immediato su presunti calpestamenti o addirittura abbattimenti dei diritti dei lavoratori.
Questa grande confusione e' la vera causa delle incessanti polemiche di questi giorni.

Il Senato ha dato il via libera al maxiemendamento sul Jobs Act, votando la fiducia posta dal governo sul provvedimento al centro del dibattito da alcune settimane. Il  responso, 165 i sì, 111 i no, 2 gli astenuti.
Il testo originario e' stato modificato con un maxi emendamento che accorpa in un univo articolo l'intero impianto normativo.
E il vero colpo di teatro, arrivato con il nuovo testo, è stata certamente la scomparsa di qualsiasi riferimento all’articolo 18,  vera materia del contendere nel dibattito politico e con le parti sociali.

Cosa prevede il nuovo Jobs Act

1) Ammortizzatori. 
Qualora sussista una situazione di disoccupazione involontaria, il governo dovrà assumere tutele uniformi e in linea con la storia contributiva dei lavoratori. Favorevole, ad esempio, sarebbe l’allargamento dell’Aspi anche ai co.co.co.

2) Semplificazioni. 
Si punta a dimezzare gli atti burocratici necessari ad avviare e gestire il rapporto di lavoro. Si punta, così, all’emenazione di norme ad hoc che riducano gli step tra amministrazione e datori di lavoro, ad esempio sugli infortuni, con l’obbligo di trasmissione alle autorità che penderà proprio sulla PA.

3) Contratti. 
Sì al contratto a tutele crescenti, che aumenteranno in relazione all’anzianità di servizio. Ok anche all’introduzione prossima del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro. Cambia il demansionamento, ma con tutela alla professionalità.

4) Maternità. 
Si prevede l’introduzione a carattere universale dell’indennità di maternità, ossia anche a chi versa contributi a gestione separata. Ok anche al diritto alla prestazione anche in caso di mancato versamento dei contributi per opera del datore di lavoro.

Come detto la parte dedicata ai licenziamenti scompare dal testo.
Però, in riferimento alla disciplina dei licenziamenti, un orientamento sembra emerso, sia dalle varie direzioni di partito che hanno portato allo scontro favorevoli e contrari al superamento dell’articolo 18, che nella breve ora di confronto con le sigle sindacali, incapaci, in questo marasma, di esprimere una posizione unitaria.
Cosa cambia per i licenziamenti
Come noto, l’articolo 18, nella formulazione residua dopo le parziali modifiche apportate dalla riforma Fornero del 2012, prevede la possibilità di ricorrere al giudice nel caso di tre tipologie di licenziamenti, se ritenuti illegittimi:

economico

disciplinare

discriminatorio

1) Nel primo caso, il lavoratore viene lasciato a casa in seguito a ristrutturazioni aziendali, oppure per decisione arbitraria del datore di lavoro che voglia tagliare i costi del personale. In tal caso, al lavoratore rimane la facoltà di rivolgersi all’autorità giudiziaria, che potrà esprimersi qualora ritenga illegittimo il licenziamento, disponendo anche il reintegro in azienda.

2) Nel secondo caso, invece, si tratta di qualche comportamento che ha interrotto il rapporto fiduciario tra committente e lavoratore, oppure della mancata esecuzione delle mansioni affidate. Anche in questo caso, è possibile portare la vicenda di fronte al responso del giudice, che pu ordinare il reintegro.

3) Quadro simile per i licenziamenti discriminatori, che rimangono completamente protetti dalle garanzie comprese nell’articolo 18.

Nei giorni scorsi, si è parlato di una possibile revisione dell’articolo 18 nei termini in cui, in caso di licenziamento ritenuto illegittimo di tipo economico o disciplinare, al posto del reintegro, debba essere lo Stato a sobbarcarsi il sostegno del lavoratore per un periodo limitato, di durata variabile a seconda della storia contributiva del soggetto.
Per definire in maniera ancora più compiuta la materia, l’esecutivo ha preso l’impegno di definire esplicitamente i casi in cui il licenziamento disciplinare vada ritenuto illegittimo, uscendo così dal limbo della discrezionalità dell’autorità giudiziaria.
Nessun cambiamento, infine, è previsto per i licenziamenti discriminatori, che prevederanno sempre il reintegro del licenziato.

Il testo della legge approda alla Camera.
Il testo licenziato al Senato non prevede espressamente modifiche all’articolo che fa da “paracadute” a eventuali licenziamenti illegittimi, anche se lascia aperta la porta per ulteriori modifiche in sede di decreti legislativi.
La legge delega, infatti, prevede un margine di discrezionalità all’esecutivo, una volta approvata, ma ciò che con insistenza si chiede alla Camera è una definizione dei confini entro cui il governo potrà muoversi una volta che emanerà i provvedimenti in attuazione del ddl.
A questo proposito, si chiede più chiarezza nell’articolo 18, in materia di licenziamenti economici, discriminatori e disciplinari. Finora, le indicazioni del governo hanno lasciato intendere che grosse modifiche verranno apportate solo su quelli economici, che saranno esclusi in toto dalla discrezionalità del giudice e vedranno l’indennizzo statale in relazione all’anzianità contributiva.
I discriminatori, poi, non saranno toccati, e questo il premier Renzi e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti lo hanno lasciato intendere a chiare lettere. Restano sul tavolo i licenziamenti disciplinari, il vero ago della bilancia della riforma, su cui si gioca la partita del Jobs Act.
Il governo potrebbe scrivere, nel testo, obiettivi più specifici sui licenziamenti, accontendando così, almeno in parte, sia la Cgil che i propri oppositori interni.


vai al testo integrale della legge
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